L’INTERVISTA
Confindustria, Giorgio Fossa: «Un presidente che appiani le differenze»
L’imprenditore a tutto tondo sul futuro dell’associazione

Presidente Giorgio Fossa, come va?
«Non ci lamentiamo. È andato tutto ben fino alla chiusura del 2023, ma ora noi industriali siamo molto preoccupati da questo inizio di 2004».
Si spieghi.
«La situazione internazionale è davvero molto complicata con i conflitti in Ucraina e a Gaza tuttora in corso e con tutto ciò che si agita nel Golfo e nel Mar Rosso. Poiché l’industria manifatturiera italiana è fatta di trasformatori, un eventuale blocco del canale di Suez potrebbe avere un impatto negativo enorme sul nostro Paese. In più, non sappiamo quel che succederà tra Cina e Taiwan. E in questo quadro così turbolento diventa difficile per tutti investire a medio e a lungo termine. Mi preoccupa meno invece la questione relativa all’intelligenza artificiale perché ritengo che tutte le novità storicamente abbiano sempre portato risultati positivi. Bisognerà governare la materia a livello globale e in materia corretta. Quanto alla transizione ecologica, le logiche da pasdaran dell’Europa danneggiano le industrie dei Paesi dell’UE. Da noi ci sono regole strette, mentre i competitor Usa e cinesi vanno a briglie sciolte. L’Unione deve anche riuscire a trovare un accordo per governare una forza finanziaria importante come quella europea».
Rispetto a quando era presidente sul finire degli anni Novanta, Confindustria sembra aver perso smalto, è d’accordo?
«Diciamo che è tutto cambiato in concomitanza con il governo Renzi. Con il job act ha depotenziato il sindacato, ma ha finito per depotenziare anche tutti i corpi intermedi, inclusa Confindustria. Ai miei tempi la politica era estremamente debole e noi e le parti sociali facevamo un gioco di supplenza. Ora la politica ha ripreso potere».
Tutto qui?
«Se proprio devo muovere un appunto, Confindustria, oltre a presidiare i territori, dovrebbe concentrarsi su quel che succede a Bruxelles, perché ormai è sui tavoli in Europa che si prendono decisioni che impattano sul futuro industriale del nostro Paese. Sin qui non l’ha fatto».
Si è parlato di un club di valorosi, con tutti i past president di Confindustria assieme nella stessa squadra, per risollevare le sorti della associazione degli industriali, è vero?
«È vero e non è vero. Siamo rimasti in pochi sa, ma ci sentiamo regolarmente. È una chiacchiera che non ci si parli comunque».
Qualche idea sul successore di Carlo Bonomi? Se la sente di indicare un preferito?
«Non partecipo al toto nomi. Chiaro che facendo parte del manifatturiero, mi viene naturale fare il tifo perché torni a fare il presidente di Confindustria un manifatturiero puro, un imprenditore che si sa sporcare le mani, che conosce la fabbrica. Vorrei anche un presidente che riesca ad appianare le divisioni tra grandi e piccoli e metta insieme tutti. A suo tempo, l’avvocato Agnelli e il dottor Romiti, da illuminati quali erano, avevano capito che andando divisi i piccoli non contavano nulla e i grandi un po’ meno».
Intervista completa sulla Prealpina in edicola sabato 20 gennaio.
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