CORONAVIRUS
Che fine hanno fatto i profughi?
A Varese ce ne sono 130, a Busto 18 e a Gallarate 46: «Hanno paura della pandemia»

Ma i profughi? Non mettono nemmeno il naso fuori dalla porta dei centri nei quali sono ospitati.
Così, almeno, accade per tutti gli stranieri arrivati in Italia su un barcone e rimasti nell’attesa di asilo politico - le pratiche sono ovviamente tutte ferme - in provincia di Varese.
Dove, concentrandosi sui tre Comuni principali, non sono più tutti quelli di qualche anno fa quando arrivavano a frotte e dargli una sistemazione era l’impegno principale dell’allora prefetto Giorgio Zanzi: nel capoluogo ce ne sono circa 130, a Busto Arsizio ne sono rimasti 18 e a Gallarate 46. Mentre fino al 2018 i numeri superavano le centinaia ovunque nelle realtà più grandi (e non solo) del Varesotto.
I DATI DEL MINISTERO
Del resto, basta dare un’occhiata al cruscotto statistico pubblicato dal ministero dell’Interno, con aggiornamento quotidiano, al fine di rendersi conto di come il fenomeno a livello nazionale sia diminuito.
Lo dimostrano i numeri: 3.228 arrivi calcolati dall’1 gennaio scorso a ieri, martedì 14 aprile, contro i 7.389 dello stesso periodo del 2018. Certo, c’è un incremento notevole sui 625 del 2019. Tuttavia il quadro non è neppure paragonabile a quello del quinquennio precedente.
Ciononostante rimane il problema del controllo degli spostamenti sul territorio, soprattutto nell’emergenza sanitaria. Il fatto che, a queste latitudini, siano sparite le grandi società del business dell’accoglienza rende tutto più semplice.
A CASA TRANQUILLI
Una conferma in tal senso arriva da Exodus a Gallarate. Il centro della fondazione di don Antonio Mazzi mantiene lo stesso sistema di gestione da sempre, dividendoli in piccoli gruppi in quattro appartamenti e separando le etnie (nigeriani da soli, pakistani pure, gli altri insieme), così nella situazione attuale ne raccoglie i frutti.
«Gli africani non si muovono: sono terrorizzati perché conoscono le pandemie, se ne stanno in casa tranquilli, al massimo vanno in giardino», spiega il responsabile Roberto Sartori. «Noi portiamo il cibo, loro cucinano e tengono tutto pulito».
In più c’è un altro particolare che li tiene bloccati: «È tutto fermo, però sanno che se escono e vengono segnalati si scordano l’asilo politico».
STANNO TUTTI BENE
Sicché, finora, oltre a non averne rilevato alcuno, neanche si ipotizza l’eventualità di un caso positivo al Covid-19 tra i 46 gallaratesi.
E, come conferma la cooperativa sociale Ballafon che li ha in gestione, lo stesso si può dire dei 130 rifugiati a Varese. Anche qui viene applicata la separazione in gruppi contenuti: sono collocati da un minimo di quattro a un massimo di dieci in appartamenti diversi sparsi per la Città Giardino. La coop porta il cibo a domicilio e nessuno di loro si muove da casa.
VITA ESSENZIALE
Idem per i 18 rimasti a Busto. «Sono tranquilli, come gli altri cittadini escono soltanto per i bisogni strettamente indispensabili», garantiscono i referenti della cooperativa Intrecci, che li ospita a Casa Onesimo.
«Per loro questo è un limbo al quadrato. Tutto quanto è relativo alle domande di asilo politico è congelato e, dunque, non ci sono accompagnamenti in Questura, nuovi ingressi o spostamenti». Quelli sono e quelli rimangono.
Insomma, il quadro è ben differente da quando l’accoglienza bustocca arrivava a contare 200 profughi tenuti in un solo posto dalla KB srl. Altri tempi.
«All’inizio non è stato facile, adesso sono disciplinati», conclude Intrecci. «Svolgono attività normali. Hanno una vita essenziale».
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