CORONAVIRUS
Cuasso, qui il Covid c’è ancora
Nell’ospedale utilizzato per ospitare pazienti in fase di remissione dal virus sono attualmente ricoverati ancora una decina di malati

Tutti parlano di fase 2 e di riapertura ma c’è un luogo, in ospedale, dove ci sono ancora malati di coronavirus, seppure in fase di guarigione (oltre ai pochi ricoverati all’ospedale di Circolo).
Si tratta di Cuasso al Monte, struttura dell’Asst Sette Laghi, riconvertita da ospedale di riabilitazione a riabilitazione dal virus.
Anche qui i numeri dei ricoverati sono diminuti decisamente: una decina di pazienti ancora con Covid-19, più otto nel “reparto” destinato alla sorveglianza (sono alcuni ospiti stranieri del centro di Tradate arrivati pochi giorni fa).
I pazienti che arrivano invece dagli ospedali o dalle rsa hanno bisogno di lunghe degenze, circa tre settimane, per rimettersi dalla batosta del virus e per negativizzarsi.
In totale la squadra coordinata dal medico Michele Bertoni (che è a capo della Struttura complessa di riabilitazionr e recupero funzionale di tutta la Asst), ha visto 160 pazienti, di cui una settantina donne, quasi tutti over 50-60.
E adesso? «Ora abbiamo un ospedale di grandi anziani, l’età media è sopra i 90 anni - dice il medico - e forse anche questo dato è un indice di come si sia modificata la pandemia nel tempo».
I pazienti sono spesso anziani caduti in casa o finiti in ospedale per vari motivi (senza sapere di essere positivi) e che, una volta giunti in ospedale, sono stati sottoposti al tampone che ha fatto scoprire la positività al coronavirus. E poiché basta poco a un anziano per scompensarsi, soprattutto se colpito da Covid-19, ecco che la fase di recupero può diventare ancora più lunga e complessa.
«Siamo stati e siamo ancora l’ultimo baluardo per contrastare il Covid, prima del rientro a casa o nella casa di cura», racconta il dottor Bertoni.
C’è anche chi decide di trascorrere il periodo di quarantena al domicilio, se è nelle condizioni cliniche per farlo e se ha spazi adeguati per stare isolato dalla famiglia. E chi invece richiede di approfittare dei letti di sorveglianza (non particolarmete utilizzati in genere nella provincia di Varese). Il gruppo di lavoro, composto da medici che nel periodo peggiore del Covid erano saliti a sei e insieme a un gruppo nutrito di infermieri e oss che lavorano insieme da tanti anni e sono orientati al paziente in riabilitazione, riesce a trasmettere una positività particolare ai pazienti, che fuori di lì tornano quasi sempre a casa e hanno finito la disavventura con il coronavirus.
«In particolare tra gli anziani, abbiamo chi ci dice: stiamo bene, qui, non possiamo rimanere un po’ di più?», racconta il dottor Bertoni.
E poi i ringraziamenti, le telefonate, anche a distanza di mesi, per sapere “come stanno i miei medici”. Come le chiamate ricevute da quell’operaio pugliese che si era ammalato mentre lavorava nella Bergamasca e che al momento dell’arrivo a Cuasso, una volta sceso dall’ambulanza, aveva addirittura tentato la fuga, sconvolto com’era dalla lontananza da casa e dallo choc per la malattia. «Ci chiama ancora, a noi fa davvero piacere». Nessun operatore di Cuasso si è ammalato di Covid-19.
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