CORONAVIRUS
«Dopo 20 giorni ancora positivo»
Il racconto di un legnanese di 49 anni: «Speravo di essere guarito, invece il calvario continua»

Al figlio di sei anni che gli chiedeva “papà, ma quando ti potrò abbracciare?” ha dovuto dire, con una stretta al cuore, che ci sarà da attendere ancora una settimana.
O, almeno, così si spera. Giacomo C., 49 anni, contava di essere guarito, dopo 20 giorni di cure e isolamento. Invece quel maledetto tampone è risultato ancora positivo. Lo ripeterà il primo aprile e spera che non gli faccia scherzi.
Giacomo è isolato nella camera matrimoniale da settimane. Dopo 4 giorni di febbre a 39, ai primi sintomi di fatica respiratoria, aveva chiamato il numero dedicato all’emergenza Covid-19. Un’ambulanza era venuta a prenderlo a casa nel pomeriggio del 5 marzo e la moglie, fuori dal pronto soccorso, aveva atteso fino alle 5 del mattino il verdetto: polmonite bilaterale. L’esito del tampone fatto il giorno successivo era arrivato dopo altre 48 ore: positivo.
Un casco con l’ossigeno in testa. La fatica a respirare. Per fortuna, dopo tre giorni di ossigeno, Giacomo (fisico forte e allenato) ha ripreso a respirare senza ausilii. «Andava meglio, sono riuscito a riprendermi - racconta - Ma nel letto accanto al mio c’era un uomo della mia stessa età: lui hanno dovuto intubarlo e non ho più saputo nulla». Per liberare in fretta i letti, Giacomo è stato dimesso e accompagnato a casa.
ì vive separato da moglie e figli (uno di sei e una di 9), con i quali però condivide il bagno, che ogni volta va sanificato con grande cura.
Il 25 marzo, passati i fatidici 20 giorni che gli avevano pronosticato per la guarigione, la prima uscita per recarsi da solo a effettuare il tampone, protetto da guanti e mascherina. «Mi hanno visitato, dicono che i polmoni siano puliti - spiega - La saturazione era a 95, la soglia limite è 94, e questo mi ha preccupato. Mi hanno detto che è normale, che il virus impiega un po’ a sparire e che stando sempre allettato non potevo essere molto in forze anche dal punto di vista della respirazione». Tornato a casa, è ripresa l’attesa. Con un primo tampone negativo, passano altre 48 ore e si ripete il test. Se è negativo anche quello, si torna alla vita normale. Ad abbracciare i figli, a uscire, a lavorare.
Invece, l’esito comunicato al telefono ha fatto ripiombare Giacomo nello sconforto: ancora positivo. Deve passare un’intera settimana per riprovarci. Con la paura di essere ancora contagioso.
«Mi sento - riflette - come un reduce di guerra, che si chiede perché sia sopravvissuto mentre altri sono caduti. Persone che conoscevo non ce l’hanno fatta e questo ti fa entrare in una dimensione assurda: gli interrogativi abbondano. Già non so come ho preso l’infezione, non capirò mai come mi sono salvato. E, adesso, comincio a chiedermi quando uscirò veramente da questo assurdo incubo».
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