CORONAVIRUS
«Tamponi a tutti i sintomatici»
È la teoria del professor Grossi per arginare la diffusione del contagio: «Ci ha colpiti uno tsunami»

«Tutti i sintomatici dovrebbero essere sottoposti al tampone». La teoria è del professor Paolo Grossi, l’infettivologo consulente di Regione e ministero, che afferma ciò che pensa da clinico e dice perché il test sierologico serve a poco in questa situazione.
«Siamo ancora in emergenza. Il carico assistenziale è molto rilevante, non c’è più un incremento sostanziale dei pazienti ricoverati e riusciamo a gestire la situazione ospedaliera ma non sappiamo con certezza che cosa avviene fuori e quale sia la situazione reale del contagio. Il motivo è semplice: non vengono fatti i tamponi “a tappeto”. Invece andrebbero fatti alle persone con sintomi, anche lievi», perché soltanto così si potrebbe arginare la diffusione del contagio.
La scelta di non fare i tamponi a tutti i sintomatici è stata spiegata più volte dalla Regione Lombardia: ci atteniamo alle disposizioni dell’Istituto superiore della Sanità, è stato detto. Ed è stato detto che non è possibile affrontare screening per tutti con le forze, i fondi e i numeri a disposizione.
«Non entro minimamente in scelte di politica sanitaria. Dico però che per i numeri della Lombardia, di cittadini e per le strutture dei laboratori ma anche per una questione di mancanza di reagenti con la quale ci si scontra da settimane, sarebbe impossibile fare uno screening di massa».
A tutti i sintomatici, invece sì? Credo appunto che non si possa fare perché non si riuscirebbe a sostenere il carico, sotto ogni profilo, ma che sarebbe l’unico modo possibile per sapere chi è positivo, isolarlo ed evitare che tramite se stesso o la propria famiglia si diffonda il contagio. Invece non sappiamo quale sia la reale situazione sul territorio e questo comporta la mancanza di informazioni preziose per comprendere la situazione e per agire di conseguenza con tutta la consapevolezza necessaria».
I test sierologici sono utili?
«Sì, ma poiché siamo ancora in una situazione sanitaria di emergenza, servono a poco. Non dicono infatti sempre se una persona è contagiata. Faccio un esempio: se ho febbre o tosse e dunque sono sintomatico, ma faccio il test per gli anticorpi, il risultato può tranquillamente essere negativo. Il motivo è semplice: gli anticorpi si manifestano nell’arco di alcuni giorni, almeno una settimana: se invece ho l’infezione oggi e faccio gli anticorpi, può non risultare nulla. In questa fase è ancora importante sapere non se si è venuto a contatto con il virus in passato ma se si è infetti qui e ora. Ciò perché così si evita di andare a casa o in giro e infettare la propria famiglia e tutte le persone con le quali veniamo in contatto: si tratta di un test per una indagine diagnostica, non per una diagnosi di malattia che invece servirebbe adesso. Il tesat sieiologico non può essere un test di screening».
Si parla di fase due, di ripresa e cominciano a emergere le polemiche tra governo e regione sulla gestione delle situazioni più drammatiche. Che cosa ne pensa?
«Non entro nel merito delle dinamiche politiche, così come non ho la sfera di cristallo per sapere che cosa accadrà. Posso dire però che siamo stati travolti da uno tsunami: abbiamo cercato di gestire la situazione meglio che abbiamo potuto, abbiamo cercato di salvare il maggior numero di vite possibili: l’emergenza ci è letteralmente piombata addosso con una drammaticità che non ha avuto eguali in Italia, quindi fare paragoni rispetto a scelte fatte altrove ha poco senso: e lo dico da medico e clinico: abbiamo fatto tutti il possibile».
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