CORONAVIRUS
«Uno strazio infinito. Bach il mio rifugio»
La sofferenza del grande violinista che si trova a Roma: «Sono sconvolto dalle persone che muoiono nella solitudine»

Quando il ministero degli Affari Esteri gli ha chiesto di partecipare a “We are Italy“, un progetto di riscatto culturale del nostro Paese attraverso le video-esibizioni dei migliori interpreti del genio italiano, lui ha inforcato il violino e, dal salone della propria casa, ha suonato un brano di Bach. «Ho scelto lui perché è il padre della grande musica. Beethoven diceva che Bach non era un torrente, come suggerirebbe la traduzione dal tedesco del suo nome, bensì un oceano che abbraccia il mondo intero e ci porta a guardare lontano. Ed è proprio quello che oggi dovremmo provare a fare tutti. Io spesso mi rifugio in lui».
Uto Ughi, nato a Busto Arsizio 76 anni fa, guarda all’emergenza mondiale usando quella stessa sensibilità che lo ha reso uno dei più grandi violinisti del pianeta. Anzi, proprio nelle note del suo Stradivari cerca conforto e prova a trasmettere speranza.
Maestro Ughi, oggi lei dove si trova?
«Sono nella mia casa di Roma, dove mi trovavo quando è stato emesso il decreto che vieta di spostarsi. Se tutto questo non ci fosse stato, in questi giorni avrei dovuto tenere dei concerti al Conservatorio di Milano, quindi la base d’appoggio sarebbe stata la mia villa di famiglia a Busto Arsizio. Lì in città c’è mio fratello, ci sentiamo spesso, siamo tutti preoccupati».
Come sta vivendo questa situazione?
«Resto rigorosamente in isolamento, stando molto attento a tutto. Questa tragedia non ammette cedimenti e rispettare le regole è l’unica cosa che si può fare. Io sono nato mentre finiva la Seconda Guerra Mondiale, da allora non ho mai visto nulla di simile. Continuo a guardare i telegiornali e mi sento di dire che hanno ragione tutti quelli che, a partire dal nostro presidente Sergio Mattarella, chiedono all’Europa di essere unita per affrontare l’epidemia. Per questo suono Bach, che con la sua musica precorreva i tempi e univa i popoli».
L’altra sera la si è vista in televisione nello speciale di Alberto Angela dedicato a Venezia...
«Sì, ovviamente in quel contesto che avevamo registrato in anticipo ho parlato di musica. E sono molto contento se, in questi giorni tragici, tante persone abbiano potuto ammirare, anche con il mio piccolo contributo, un patrimonio culturale straordinario che è assieme bellezza e valore, del quale dovremo reimpossessarci appena sarà possibile, riscoprendo di vivere in un Paese meraviglioso che oggi piange».
Come sta trascorrendo le sue giornate?
«Ascolto molti brani e, soprattutto, leggo tantissimo. E poi rifletto parecchio, pensando a quelle che sono le cose davvero importanti della vita, a quanto debba essere forte anche oggi il senso di affratellamento e condivisione fra le persone, quando invece spesso ci affanniamo su logiche di profitto e benessere che in momenti così dimostrano di non contare assolutamente niente».
Che cosa la sta sconvolgendo di più?
«Il pensiero delle persone che muoiono in ospedale fra dolori atroci, senza neppure il conforto di avere i loro cari vicini nell’ultimo passo della loro esistenza. È qualcosa di dilaniante. E poi mi tornano molto spesso alla mente le parole di quegli infermieri costretti a vivere accanto a chi sta male e sta morendo, trovandosi a fare da tramite, in quegli strazianti ultimi attimi, fra la persona malata e chi le vuole bene ma è obbligato a starle lontano. Non ci sono parole, né note, per descrivere uno strazio insopportabile».
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