CORONAVIRUS
«Visite a casa solo se protetti»
Usca, a Busto partono i controlli domiciliari. Ma con tante incognite

Una riunione operativa, ieri, mercoledì 1 aprile, per fare il punto sui presìdi a disposizione e sui protocolli da seguire.
I primi medici di continuità assistenziale hanno detto sì: sono giovani laureati che di solito si occupano dei turni notturni e festivi. Si parte, oggi, giovedì 2, a Busto Arsizio. Poi a Saronno e, si spera domani, a Varese e Gallarate. E poi a Como, Mariano Comense, Cantù, nel resto dell’Ats Insubria.
Le Unità speciali di continuità assistenziale sono ancora una realtà tutta da scoprire.
A livello regionale si parla di 72 visite compiute ieri in altrettante case nel Milanese, di 158 in provincia di Pavia. A Cremona, Mantova, Crema, Viadana si annunciano squadre formate da tre medici ciascuna. Qui saranno un paio per team. Nelle province di Brescia e Bergamo si contano dieci “domiciliari” al giorno e alcuni ricoveri in ospedali o in luoghi di degenze di sorveglianze definiti grazie ai controlli.
Nel Varesotto si farà quel che sarà possibile: le visite corrisponderanno al numero di tute anticontagio e di presidi di protezione personale disponibili. Ogni volta, infatti, occorre cambiarsi dalla testa ai piedi e buttare tutto.
Per adesso Regione parla di medici, presto si attiveranno anche squadre di assistenza domiciliare integrata costituite da infermieri. Il discorso sulle protezioni, ovviamente, vale anche per loro.
Ai medici di medicina generale di Busto Arsizio e Saronno una mail è stata inviata nel pomeriggio del 27 marzo. E ancora non c’è chiarezza su come partire concretamente.
Ai medici spetta il triage telefonico, due volte al giorno. Dove è possibile si consegna ai pazienti un saturimetro, che dovranno poi restituire: Regione ha annunciato una settimana fa di averne acquistati 100mila, quelli in circolazione se li sono procurati da soli i dottori della zona, da Milano non è arrivato nulla. Se una persona vede la febbre salire o manifesta patologie simili all’influenza, il medico di famiglia deve attivare l’Usca, che andrà a casa, compilerà una scheda e deciderà il da farsi. Per far restare il paziente a domicilio (attenzione: non si fa nessun tampone, parliamo semplicemente di sintomi di positività), occorrono alcuni requisiti: deve avere una stanza e un bagno riservati, i familiari devono essere dotati di guanti e mascherine e pronti a procurare al malato cibo e tutto il necessario, non ci devono essere in casa persone a rischio (anziani, disabili, bambini, persone con problemi polmonari), ci deve essere qualcuno che sia contattabile al telefono.
«Siamo senza presìdi, le mascherine (quelle chirurgiche) ci arrivano a scaglioni, ogni dieci giorni - rivela Daniele Ponti, tra i vertici dell’Ordine dei medici della provincia di Varese, attivo a Induno Olona – Niente camici né occhialini. Di saturimetri non se ne parla proprio. La colpa non è della nostra Ats, è un problema regionale. Noi seguiamo i nostri pazienti, chiamiamo due volte al giorno per conoscere parametri e temperatura. Il fatto è che le persone malate a casa aumentano».
Si mandano allo sbaraglio giovani colleghi di guardia medica? «L’età non c’entra. Loro sono in gamba. Nessuno può essere mandato, però, senza adeguati presidi. L’attesa nell’avvio delle Usca, qui, dipende da quello. Serve tutto, dal copricapo ai sovrascarpe. Saranno questi colleghi a valutare ogni situazione e a decidere se serva un ricovero o una degenza di sorveglianza, aspetto che riguarda anche chi viene dimesso ma rimane positivo. La guarigione è lunga. Quando una persona non avrà più sintomi per tre giorni, terminerà la presa in carico e il paziente tornerà affidato a noi. La situazione sul territorio si fa pesante».
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