IL CASO
«Così morì Missoni»
Il questore vicario di Varese, Carlo Mazza, si occupò della tragedia. «Dai due zaini capimmo: l’aereo era precipitato»

Il questore vicario di Varese Carlo Mazza dieci anni fa era assegnato alla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga in Venezuela e si occupò della tragedia che costò la vita a Vittorio Missoni, alla compagna Maurizia Castiglioni e a due loro amici precipitati con il bimotore durante il tragitto dall’arcipelago Gran Roque all’aeroporto di Caracas. «C’era molta pressione mediatica sulla vicenda. Anche Putin, grande amico del signor Missoni, propose di mandare mezzi per aiutare nelle ricerche». Furono giorni febbrili. «Con il supporto delle autorità olandesi abbiamo raggiunto la spiaggia e recuperato il borsone ma non abbiamo trovato null’altro che fosse riconducibile all’aereo di Missoni». Ciò non fermò le ricerche.
Ed è stato grazie alla tenacia di Mazza e all’ingegnere di famiglia Claudio Vernia che venne circoscritta l’area di mare dove fu finalmente trovato il relitto dell’aereo.
LA VICENDA
Non si sapeva cosa pensare, in quei giorni concitati dopo il 4 gennaio. Sequestro di persona, dirottamento, incidente aereo, le ipotesi per chiarire cosa fosse accaduto al bimotore sui cui viaggiavano Vittorio Missoni, la compagna Maurizia Castiglioni e due amici erano tante, ma nessuna spiegava dove fosse l’aereo scomparso dai radar poco dopo il decollo e, soprattutto, se i suoi occupanti fossero ancora vivi.
«Il velivolo Britten Norman, partito da Gran Roque, su cui erano imbarcati i quattro italiani sarebbe dovuto atterrare a Caracas, ma lì non è mai arrivato», racconta Carlo Mazza, questore vicario di Varese che all’epoca dei fatti, dieci anni fa, era assegnato alla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga in Venezuela. «Ero nel paese dal 2009 e mi occupavo di antidroga. Non avrei partecipato alle ricerche se il mio collega, assegnato ai sequestri di persona, e l’ambasciatore Paolo Serpi non mi avessero coinvolto nelle indagini».
Le famiglie in Italia, aggrappate alla speranza, erano in attesa di risposte mentre il mondo seguiva le notizie sulle sorti del manager della casa di moda Missoni e degli altri dispersi. «C’era molta pressione mediatica. Anche Putin, grande amico del signor Missoni, propose di mandare mezzi per aiutare nelle ricerche», prosegue Mazza. Durante le prime settimane però non si riuscì a trovare nulla nonostante lo sforzo delle autorità venezuelane e dei colleghi italiani. Ma a volte le coincidenze, il destino o semplicemente un altro aereo troppo pieno di bagagli fanno cambiare direzione a una storia.
«Un turista italiano, Giorgio Neri, anch’egli in vacanza a Los Roques, aveva imbarcato il suo borsone con le attrezzature per il kite surf sull’aereo di Missoni perché sul suo, preso pochi minuti dopo, non c’era posto», racconta il dirigente: «Ebbene, il borsone di Neri è stato ritrovato sull’isola di Curaçao da un turista tedesco che ha avvisato il proprietario scrivendo alla mail riportata sulla targhetta appesa al bagaglio. L’italiano ha avvertito la sorella di Vittorio Missoni che ha informato l’ingegnere di famiglia, Claudio Vernia, che si trovava in Venezuela per seguire le indagini».
Il ritrovamento del borsone di Neri sull’isola olandese di Curaçao, a ovest di Los Roques, diede una svolta alle indagini e visto che le correnti in quel tratto di mare spirano da est a ovest era presumibile che si potessero trovare là altre prove: «Con il supporto delle autorità olandesi abbiamo raggiunto la spiaggia e recuperato il borsone e cercato se ci potesse essere altro riconducibile all’aereo di Missoni ma non abbiamo trovato nulla».
Era la fine di gennaio e le speranze, dopo il ritrovamento delle attrezzature di Neri, si facevano sempre più flebili. Ma tra Los Roques e Curaçao, che fa parte del Regno dei Paesi Bassi, c’è un altro piccolo lembo di terra, l’isola di Bonaire. Se un bagaglio che era a bordo del bimotore era finito così a ovest era probabile che anche a Bonaire potesse esserci qualcosa.
Così Mazza e Vernia decisero di proseguire le ricerche lì, ma sulla piccola isola non trovarono nulla. «Decidemmo di spargere la voce e di coinvolgere un giornalista del giornale locale, Extra», prosegue Mazza. «Scrisse un articolo per sensibilizzare la popolazione e noi tornammo a Caracas». L’attesa durò poco: la telefonata che probabilmente non avrebbero voluto ricevere arrivò, spazzando via ogni residuo di speranza. Il 10 febbraio 2013, lo stesso giornalista di Extra trovò alcune valigie sulla costa. «Ci precipitammo a Bonaire e le targhette attaccate a due zaini portavano i nomi di Vittorio Missoni e di Maurizia Castiglioni. Abbiamo avuto la certezza che l’aereo era precipitato in mare», conclude il questore vicario.
Insomma, grazie a un tedesco gentile, a un borsone nell’aereo sbagliato e alla tenacia di Mazza e Vernia, si poté circoscrivere il tratto di mare dove cercare il relitto del bimotore che fu poi trovato il 27 giugno dalla nave oceanografica americana Sea Scout alla profondità di 75 metri. Durante le analisi dei fondali la strumentazione rivelò la presenza di un’altra carcassa, quella dell’aereo della Transaven precipitato lo stesso giorno, il 4 gennaio, di cinque anni prima con a bordo otto italiani. Ma questa è un’altra storia.
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