DELITTO DI CASBENO
Ora Manfrinati vorrebbe scusarsi
Il 40enne in lacrime davanti al gip: «Non volevo ucciderla»

«Giustizia è fatta... Ora sto bene». Sono le prime parole pronunciate da Marco Manfrinati davanti ai poliziotti della Squadra Volante accorsi lunedì in via Menotti dopo che il quarantenne avvocato di Busto Arsizio aveva aggredito con un coltello a serramanico la sua ex moglie e il padre di lei.
Il particolare è contenuto nell'ordinanza del gip Alessandro Chionna che ha convalidato l'arresto per l'omicidio di Fabio Limido, con l'aggravante dei motivi abietti, e per il tentato omicidio, aggravato anche dalla premeditazione e dalla crudeltà, di Lavinia Limido. Come riferito da alcuni testimoni, Manfrinati è arrivato a Casbeno con una mascherina chirurgica sul viso e un cappellino con visiera. Appena lo ha visto, la sua ex - che lo aveva denunciato prima per maltrattamenti, poi per stalking, reato per il quale lui aveva il divieto di avvicinamento a lei e agli ex suoceri - si è spaventata ed è caduta a terra, dove è stata colpita da coltellate al viso e al collo. Poi l'intervento del padre con una mazza da golf: dopo aver danneggiato l’auto di Manfrinati, anche Limido ha perso l’equilibrio ed è caduto in un’aiuola. Secondo altri testimoni, l’arrestato avrebbe anche cercato di fuggire in auto e di investire l’ex suocero e un altro uomo. Fatto sta che - raccontano i soccorritori - visto Limido a terra, Manfrinati si è messo a cavalcioni su di lui per accoltellarlo al busto e al collo. Infine l’arrivo delle pattuglie e l’arresto. Agli inquirenti ha detto di essersi oresentato in via Menotti per attendere l’uscita di Lavinia per la pausa pranzo. E ha ammesso di essere andato lì armato di coltello per ferire la donna.
«Vorrei chiedere scusa a Lavinia. Io chiedevo solo di fare il padre. Volevo farla ragionare, non volevo ucciderla», ha detto poi nell'interrogatorio di mercoledì in carcere, cercando «di ridimensionare i fatti», come evidenzia lo stesso gip. «Lei era a terra e diceva “Il bambino non te lo darò mai”... e io l'ho colpita due, tre volte, e dopo ho detto “che cazzo sto facendo...'», ha affermato, scoppiando a piangere più di una volta. Da Busto era arrivato a Varese con la lama perché, a suo dire, i Limido «sono persone pericolose». Manfrinati sostiene che, dopo aver ferito la ex, la sua intenzione era di andare a costituirsi in Questura, ma di non esserci riuscito per l’aggressione da parte del suocero («Mi diceva “Ti ammazzo, bastardo”»), che nella successiva colluttazione è stato accoltellato a morte. «Se lui non mi avesse raggiunto con la mazza da golf, io non lo avrei colpito, e adesso era ancora vivo». Infine: «Quanto avvenuto non è colpa mia. La colpa è di chi non ha saputo leggere le evidenze probatorie da circa due anni e mezzo».
«VERSIONE SMENTITA DA INDAGINI»
Una versione che, secondo il gip, è «smentita dalle risultanze investigative», basate anche sulle telecamere che hanno ripreso una parte dell’aggressione, e «dai testimoni oculari». Il giudice ipotizza che, dopo le prime coltellate alla ex, Manfrinati abbia desistito quando ha cominciato ad arrivare gente allertata dalle urla della donna (tra cui due ragazzi che lo hanno affrontato con un bastone). E il movente? Sarebbe da ricercare nella consulenza tecnica depositata il 2 maggio nell’ambito della causa di separazione, in corso a Busto, che avrebbe consigliato la sospensione dei rapporti tra lui e il figlio.
Tutti elementi che, per il gip, «fanno ritenere più che fondata l’ipotesi che Manfrinati abbia agito con premeditazione a fini vendicativi». Ipotesi che sarebbe provata anche dai suoi spostamenti di lunedì mattina - prima davanti a casa della ex, poi sul suo luogo di lavoro -, dal possesso del coltello di 23 centimetri e dall’aver indossato cappello e mascherina per travisarsi. Insomma, tutto lascia «presumere che Manfrinati abbia pianificato la sua azione» e che non si sia trattato di «una condotta estemporanea».
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