DELITTO MACCHI
Binda, l’ingiusta detenzione, il risarcimento: storia infinita
Indennizzo per ingiusta detenzione impugnato da Procura e Avvocatura di Stato: ancora da fissare la terza udienza dopo il rinvio alla Corte d’Appello

Quella di Stefano Binda sembra ormai una storia infinita. No, il celebre fantasy anni Ottanta non c’entra nulla. C’entra invece la battaglia legale portata avanti dal brebbiese e dall’avvocata Patrizia Esposito per vedere accolta la propria richiesta di riparazione per gli oltre tre anni e mezzo di ingiusta detenzione.
L’ASSOLUZIONE IN VIA DEFINITIVA
Sono trascorsi più di quattro anni e mezzo da quando la Corte di Cassazione lo ha assolto in via definitiva dall’accusa di aver ucciso Lidia Macchi, ma di risarcimento nemmeno l’ombra.
L’INDENNIZZO
Per due volte un’ordinanza dei giudici della quinta Corte d’Appello di Milano, la sezione competente in materia nel distretto di cui fa parte anche Varese, ha riconosciuto il suo diritto all’indennizzo, ma per due volte la stessa Cassazione che lo ha assolto sul versante penale gliel’ha negato. In entrambi casi ha annullato il provvedimento di indennizzo, impugnato dalla Procura Generale del capoluogo lombardo e dell’Avvocatura dello Stato, rinviando alla Corte di Appello di Milano per un nuovo giudizio.
L’UDIENZA DA FISSARE
A questo proposito, la terza udienza per affrontare la richiesta di riparazione avanzata da Binda è ancora oggi da fissare. Nell’udienza, a leggere la sentenza della Suprema Corte, saranno da rivalutare alcune condotte colpose attribuite a Stefano Binda non prese in esame dalla Corte d’Appello ambrosiana e che sarebbero state alla base dell’emissione della misura cautelare a suo carico e del suo mantenimento per tre anni e mezzo. Tutta una serie di elementi auto indizianti - come, per esempio, alcuni scritti ritrovati nella sua camera nel corso delle indagini: uno per tutti: “Stefano sei un barbaro assassino”) dei quale il brebbiese non avrebbe saputo dare spiegazione.
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