LA SENTENZA
Delitto nel bosco: condanne
Trent’anni ai due assassini di Matteo Mendola. Il mandante sarà giudicato dall’Assise

Sono stati condannati a trent’anni, con rito abbreviato, i due imputati accusati dell’omicidio del trentatreenne Matteo Mendola, un disoccupato originario di Gela che viveva a Busto Arsizio, ucciso nel 2017, nei boschi di Pombia, in provincia di Novara.
Si tratta dell’esecutore materiale, reo confesso, Antonio Lembo, trentenne di Busto Arsizio e del suo presunto complice, Angelo Mancino, quarant’anni, di Monte San Savino in provincia di Arezzo: il toscano ha però sempre respinto ogni addebito. Il presunto mandante del delitto, Giuseppe Cauchi, cinquantatreenne di Busto Arsizio, è stato invece rinviato a giudizio: il processo si terrà il 21 gennaio davanti alla Corte d’Assise.
Le indagini svolte dai carabinieri di Novara in pochi giorni avevano portato all’arresto dei tre: il movente dell’omicidio sarebbe stata una serie di sgarri nati nel mondo della microcriminlità locale.
Mendola venne trovato privo di vita la mattina di mercoledì 5 aprile del 2017 in un capannone dismesso della fabbrica Mir Plast, in mezzo ai boschi della valle del Ticino, in località Baraggia della frazione San Giorgio di Pombia.
Il suo cadavere fu rinvenuto da un pensionato che stava facendo una passeggiata.
Fatali al giovane due colpi di pistola all’addome. Ma prima era stato massacrato con il calcio dell’arma e con una batteria per auto: l’autopsia aveva evidenziato ben dodici ferite alla testa.
Una lunga serie di servizi di osservazione, di perquisizioni e di analisi dei conti e degli spostamenti, abbinati a delle intercettazioni, orientarono le indagini verso una direzione ben precisa, tanto che nel giro di una settimana venne bloccato Lembo, mentre stava scappando in treno. Il 26 aprile il fermo Mancino, che s’era trasferito da pochi mesi in provincia di Varese in cerca di lavoro.
Quest’ultimo sarebbe stato presente al momento dell’assassinio, ma sembra che il suo ruolo sia stato minore.
Cauchi, incensurato catturato a settembre del 2017, è stato subito individuato come mandante.
Gli inquirenti passarono al setaccio i suoi rapporti con Mendola e le loro conoscenze comuni. Ottenuti numerosi riscontri, l’imprenditore finì in carcere.
Per gli investigatori, sarebbe stato lui a fornire l’arma con cui venne ammazzato Mendola, ritrovata a novembre nel canale Regina Elena: Lembo aveva convinto la vittima a uscire quella sera e l'aveva attirato nei boschi di Pombia con la scusa di compiere insieme un furto.
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