Novella, 10 anni dopo: «Mafia ancora forte
Il 14 luglio 2008 l’omicidio al circolino di San Vittore Olona. Il procuratore Dolci: «Tanti arresti, ma ora la loro Calabria è qui. E oggi le indagini sono diventate molto più complesse, nessuno parla più»

Esattamente dieci anni fa, il 14 luglio 2008, al circolo Combattenti e reduci di via Tasso a San Vittore Olona il boss della ‘ndrangheta Carmelo Novella fu ucciso a colpi di pistola davanti ai pensionati che giocavano a carte. Da allora sono cambiate molte cose. Lo Stato ha smantellato 16 locali ‘ndranghetiste, ma secondo Alessandra Dolci, che all’epoca coordinò le indagini sul delitto e che da gennaio riveste l’incarico di procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, le cose non sono migliorate. Anzi. La mafia a Legnano e in Lombardia è ancora forte.
Si dice che senza il delitto Novella non ci sarebbe stata l’operazione “Infinito”, l’inchiesta che smantellò 16 cosche operative sul territorio lombardo.
«Non andò così. L’omicidio avvenne in corso d’opera. Di sicuro, anche Novella sarebbe finito nella retata. Anzi, sarebbe stato il principale dei nostri indagati».
Che cosa sapevate di Carmelo Novella?
«Che era il capo della “Lombardia”, l’organo di coordinamento collegato direttamente con la Calabria che riunisce le locali di ‘ndrangheta attive nella nostra regione e che, nei mesi precedenti all’omicidio, era un forte sostenitore di una spinta autonomista delle locali di ndrangheta aderenti alla Lombardia. La sua iniziativa fu molto contrastata tra i capi della criminalità organizzata lombarda e, ovviamente, non accettata dalla Calabria. Le conseguenze le abbiamo poi constatate».
Un delitto inaspettato?
«Avevamo monitorato una situazione di estrema conflittualità all’interno dei vertici della‘ndrangheta lombarda proprio perché alcuni seguivano l’indirizzo di Novella e altri invece ritenevano fosse più importante rimanere fedeli alla Calabria. Insomma, dalle intercettazioni, avvertimmo la tensione del momento. Tuttavia, dopo aver ascoltato quella conversazione in cui si diceva che i vertici in Calabria l’avevano licenziato, pensavamo fosse riferita a Cosimo Barranca, reggente della Lombardia prima di lui. Invece, nel mirino c’era proprio Novella».
In questi 10 anni come si è evoluta la situazione?
«Le cose non sono migliorate e questo non mi riempie certo di entusiasmo, anche perché mi sembra di lavorare per il nulla. La ‘ndrangheta in Lombardia continua a operare nel segno della continuità. Anche chi è scarcerato per associazione mafiosa torna nei paesi lombardi d’origine. Ora la loro Calabria è qui da noi. Il nostro lavoro era e resta quello di dare continuità alla nostra azione di contrasto».
È da tanto che non c’è una grande operazione in stile “Infinito”, che risale al 2010…
«Trovare di nuovo un unico filo conduttore non è semplice. In quel caso fummo bravi e fortunati a dipanare la matassa. Ma non è semplice trovare l’input iniziale. Anche perché loro hanno preso delle contromisure. All’epoca mi ricordo che ottenemmo grandissimi risultati con intercettazioni ambientali a bordo delle auto; ora in macchina nessuno parla più. Tutti prestano maniacali contromisure alla nostra attività di captazione».
Lei partecipa spesso a dibattiti e parla di ‘ndrangheta. Come reagisce la società civile?
«Direi che c’è molta più sensibilità sul problema di una volta. Le organizzazioni mafiose, per quanto abbiano cambiato pelle e preferiscano muoversi sotto traccia, alla ricerca del consenso e dell’accettazione sociale, destano allarme sociale. Soprattutto in molte province, dove da decenni, come anche nel legnanese e nel basso varesotto, la ‘ndrangheta ha messo solide radici. E non credete a chi parla di fenomeno non visibile. Non è così. Io vengo dalla provincia e lì tutti conoscono bene la brava persona e il malavitoso. Chi fa affari con quest’ultimo sa benissimo chi è il suo interlocutore».
© Riproduzione Riservata