IL PROCESSO
DoRa fuori dal Consiglio, Limido a processo
Il leader dei Dodici Raggi è accusato di oltraggio a pubblico ufficiale. Sentenza a maggio

«Tutti pezzi di m... a partire dal vicequestore. Se volete denunciatemi!». E così è stato. Già, perché per quella frase il leader dei Dodici Raggi, Alessandro Limido, è finito a processo con l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale.
La vicenda risale alla sera del 4 novembre 2019, quando il Consiglio comunale era convocato per votare il conferimento della cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre, superstite dell’Olocausto. Nell’atrio del Salone Estense si presentarono anche nove militanti dell’associazione («Non ci dichiariamo di estrema destra - ha precisato Limido - il nostro gruppo si rifà al periodo del ventennio fascista o nazionalsocialista»). «Volevano entrare - ha spiegato oggi, mercoledì 5 gennaio, un poliziotto della Digos nel processo davanti al giudice Andrea Crema - ma il vicequestore vicario gli disse che non era opportuno. Poi gli propose di far entrare soltanto due delegati, ma loro non accettarono e se ne andarono. Mentre uscivano, però, Limido pronunciò le parole incriminate».
Parole che l’imputato non ha smentito nell’aula di giustizia, pur precisando che i destinatari non erano tutti gli uomini in divisa presenti ma solo il dirigente della Questura: «Mi spiace per tutte le forze dell’ordine, erano riferite solo a lui».
Con il vicequestore Leopoldo Testa (nel frattempo trasferito a Nuoro e ieri assente) c’erano già state telefonate nel pomeriggio. «Gli avevo assicurato che non avevamo intenzioni sediziose», ha detto Limido, secondo il quale il dirigente avrebbe invece cambiato idea. «Mi disse “Tu qua non entri, decido io”. Se lo avessimo saputo prima, non ci saremmo neppure presentati. Gli ho ripetuto che per me era un abuso e ce ne siamo andati».
Il pm Monica Crespi ha fatto mettere agli atti anche il comunicato diffuso dai DoRa pochi giorni dopo per spiegare le ragioni della contestazione (per un atto che avrebbe visto «materializzarsi l’innaturale equiparazione tra la senatrice a vita e Benito Mussolini»).
La discussione, e la sentenza, sono previste il 18 maggio. Gli avvocati difensori, Luca Portincasa e Gabriele Bordoni, sosterranno che non ci fu alcun reato, perché non erano presenti altri cittadini oltre alle forze dell’ordine.
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