L’INCHIESTA
Droga nei boschi. «Presi così gli spacciatori»
In aula gli investigatori dell’Arma che arrestarono 14 persone. Fu l’operazione Maghreb tra Valganna, Val Marchirolo e Valcuvia

I carabinieri della Compagnia di Luino hanno raccontato i particolari di un’indagine che all’inizio del 2019 smantellò le “tende dello spaccio” tra Val Marchirolo, Valganna e Valcuvia, con il sequestro di sette chili di droga, le manette a 14 persone, soprattutto di nazionalità marocchina, e l’identificazione di oltre 200 clienti degli spacciatori. Uno dei cinque imputati ha chiesto di poter patteggiare l’applicazione di una pena pari a tre anni di reclusione e un altro ha fatto sapere di avere la stessa intenzione. E poi è emerso il caso dell’unico imputato di nazionalità egiziana, residente a Corsico e difeso dall’avvocato Martina Zanzi, che fu l’informatore che permise all’Arma di mettere le mani sui sette chili di sostanza stupefacente, ma fu poi ugualmente arrestato e oggi, quasi cinque anni dopo il sequestro, è anche lui sotto accusa.
È quello che è avvenuto ieri, giovedì 16 giugno, nel corso di quella che potrebbe essere stata la penultima udienza del processo per l’operazione Maghreb, indagine appunto dei carabinieri di Luino che tre anni fa coinvolse venti persone tra italiani e nordafricani, per un giro di stupefacenti gestito soprattutto da marocchini che si avvalevano però anche di italiani, spesso clienti che per assicurarsi una dose facevano da tassisti per i capi.
Per i cinque ora alla sbarra l’accusa è detenzione di droga (marijuana e hashish, ma anche cocaina ed eroina) a fini di spaccio.
A mettere nei guai l’informatore fu il rinvenimento di una sua impronta digitale sull’involucro di uno dei panetti di droga sequestrati nel corso di un blitz, ma ieri in aula l’egiziano ha spiegato che aveva accettato di trasportare quei sette chili solo per finta. Fu infatti anche merito suo se i carabinieri intercettarono quel carico trasferito su una Seat Ibiza che era già ipercontrollata: in precedenza era stata seguita e poi era stata tenuta sotto osservazione con l’installazione di un trasmettitore Gps e di una microspia.
«Nel 2017 comparvero in Valganna i primi bivacchi dello spaccio, gestiti da marocchini che arrivavano tutti da una stessa zona interna di quel Paese ed erano abituati a vivere in mezzo a boschi», hanno spiegato in aula i testimoni dell’Arma al Tribunale presieduto da Andrea Crema. Scattò così un’indagine che si sviluppò attraverso intercettazioni telefoniche, pedinamenti e appostamenti, inserimento di Gps nelle auto usate per i rifornimenti e posa di telecamere ai margini e dentro i boschi (si scoprì così che la droga era nascosta sotto terra dentro barattoli di marmellata Santa Rosa).
Ci furono piccoli e grandi sequestri, inseguimenti per i quali si rischiarono gravi incidenti (una volta alla Motta Rossa quattro spacciatori abbandonarono l’auto in corsa diretta verso Varese) e nel settembre del 2017 la vicenda dei sette chili in arrivo da Corsico. I clienti chiedevano «latte» se volevano cocaina e «caffè» se preferivano l’eroina. Esame degli altri imputati e discussione finale il 15 dicembre.
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