EUROPEI DI ATLETICA
Pietro Arese meraviglia di bronzo
Impresa nei 1500 metri del mezzofondista che si allena a Varese. «Finalmente ho qualcosa al collo. La dedico ai miei genitori»

Pietro Arese ci mette la firma nel grande Europeo romano, vincendo la prima medaglia pesante della carriera in un contesto tecnico di ottimo livello. «Finalmente ho qualcosa al collo» dice l’allievo di Silvano Danzi che dimostra una volta di più di essere cresciuto e aver ormai raggiunto, un passo alla volta, cieli a lungo inesplorati dall’atletica azzurra in una gara mai facile come quella dei 1.500. A Oslo due settimane fa aveva firmato, 34 anni dopo, il nuovo record italiano. Ieri, grazie a un finale portentoso, si mette al collo una medaglia di bronzo che vale tantissimo.
LOTTA METRO DOPO METRO
Tutt’altro che facile interpretare prima del via una finale a 16 (complici dei ripescaggi) di un 1.500 nel quale in tanti si rifiutano di pagare lo scotto del comando. Arese come previsto ha tutti e due gli occhi puntati sul fenomeno Ingebritsen, e quando il norvegese risale dal fondo inizia anche lui a navigare nella pancia del gruppone per mettersi in posizione di sparo. Con un ritmo tutt’altro che matto la gara prosegue in equilibrio totale fino alla campana, che suona con il 24enne ormai varesino acquisito in settima posizione. Ingebritsen alza i giri e fa prova a sé fino al traguardo, dietro Arese sgomita anche allargandosi e si gioca tutto sul rettilineo finale: servono gambe e testa e l’allievo di Silvano Danzi le mette digrignando i denti con un grande sprint che vale la chiusura in 3’33”34. Quattro centesimi prima arriva il belga Vermuelen (3’33”30) in un finale concitato, sei dietro l’altro belga Verheyden (3’33”40) mentre l’oro finisce al solito al fenomenale Ingebritsen (3’31”95).
CHE GIOIA
«Finalmente ce l’ho fatta - le sue parole - Dopo tanti quarti posti questo bronzo mi ripaga del lavoro fatto un passo alla volta insieme al mio allenatore Silvano Danzi. Ho messo anima cuore e corpo, sapevo di poter vincere qualcosa e finalmente ho una medaglia al collo. Ho anche un po’ di rammarico perché poteva essere argento». «Incontrare il presidente della Repubblica non capita tutti i giorni - ha aggiunto -, gli ho raccontato che i miei compagni di squadra mi chiamano il presidente e quando l’ho salutato gli ho detto “da presidente a presidente, la saluto”. Incontrare Malagò e tutta l’allegra combriccola è stato un’emozione. 22ª medaglia? Non volevo essere da meno rispetto ai miei compagni». Non mancano le dediche e delle considerazioni importanti per l’azzurro: «Per me è importante anche il percorso universitario che da anni faccio all’Insubria, mi aiuta per lavorare con la giusta determinazione e attitudine. Mettendo un mattoncino alla volta sono arrivato a centrare questo traguardo, che dedico prima di tutto ai miei genitori oltre che al mio tecnico Silvano Danzi». Il 2024 per lui è davvero l’anno del “Si”, e Parigi deve ancora arrivare.
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