LA CRISI
Ex imprenditori in coda dai frati
Le riflessioni di padre Pasquale: «Città generosa con gli ultimi, ma non ha fiducia in loro»

Ci sono anche loro in coda per recuperare un panino al convento dei Frati: «Ex imprenditori che avevano venti o trenta persone alle dipendenze - li descrive fra’ Pasquale Ghezzi, parroco alla chiesa del Sacro Cuore - e che la crisi ha ridotto in questo stato. Ma sapete perché non hanno più nulla in tasca?».
Per i debiti accumulati?
«Sbagliato. Il fatto è che prima di chiudere l’azienda hanno voluto mettere a posto i loro dipendenti, pensando all’altro prima che a loro stessi, uscendo dal meccanismo in cui poni al centro il tuo “io”. So che a questa gente in tanti daranno dei “pirla”, secondo me sono stati solo giusti».
Frate Pasquale, com’è messa Busto Arsizio a livello di povertà?
«È un fiume infinito che cresce e bussa, qui come ovunque. Prima stavamo meglio perché c’erano altri che sfruttavamo noi, ora sta cambiando. Ma intendiamoci con la parola poveri».
In che senso?
«Per me l’uomo più povero di tutti in Italia è Silvio Berlusconi. Non è un attacco politico, l’ho anche votato tanti anni fa. Ma la vera ricchezza è essere in pace con se stessi. Lo vedete quell’uomo sulle scale della chiesa con la stampella e in attesa del panino? Lui è in pace, quindi sta bene».
Ne è sicuro?
«Meglio una cipolla donata messa in pancia, piuttosto che mangiare caviale che non sai da dove arriva».
Sta facendo politica?
«Non scherziamo. Da giovane avevo la tessera della Dc. Avevo una mia collocazione, certo ai margini del partito, però ci credevo. In realtà l’ispiratore era mio papà comunista, aveva un pensiero che volava alto, pensava all’uguaglianza e a messa ci andava. Però era un altro mondo e io nella modernità fatico ormai a scegliere cosa votare».
Oggi com’è la politica?
«È troppo un parlar male degli altri, a ogni livello, da quello planetario in giù. Si fatica a vedere l’interesse comune, si naviga nell’ignoranza, si perde il senso del bisogno dell’altro».
Si riferisce all’accoglienza degli stranieri?
«No. In realtà cerco di fare un ragionamento generale da cristiano, il quale non è mai un idealista, bensì uno che vive nel concreto».
Quindi?
«Quindi sui migranti dico che non possono pensare di venire tutti in Italia, che bisogna trovare un modo per aiutarli a casa loro, come dice qualcuno. Ma chi ormai è qui, va accolto. Non solo sfamato, ma avvicinato da una comunità che sa comunicare con l’altro».
E in città come si sviluppa questa accoglienza?
«Busto sul fronte dell’aiuto agli ultimi non manca mai di dare una mano, la gente è generosa e noi qualcosa da dare l’abbiamo sempre. Ciò che manca però è la fiducia negli ultimi».
Si alzano muri?
«Sì, perché vince la paura. Sia chiaro che non tutti quelli che chiedono un aiuto se lo meritano. Ne caccio via anche io di balordi quando mi prendono in giro, mi raccontano di tragedie familiari inesistenti per spillar soldi. Qualche volta mi hanno fregato, poi un pochino ho capito. Il punto è che bisogna imparare ad avere un atteggiamento di apertura e chiusura continua. Bisogna essere prudenti come serpenti e puri come colombe. È difficile, neanche io ci riesco».
Perché lo dice?
«Quella dei frati non è un’isola felice. Noi ci confrontiamo con la realtà, quindi diamo un colpo al cerchio e uno alla botte. La vita è questa: chi non vorrebbe sempre l’ordine, il bello e la pulizia? Il dramma è che devi vivere sapendo che tutto ciò è un miraggio».
Lei come fa?
«Soffro e combatto, a volte prendo una pausa e mi nascondo, però poi cerco di entrare in sintonia, mi sforzo di ricordare che Gesù è morto per l’altro e di dare un calcio all’egoismo. In fondo è chiaro che per salire bisogna scendere».
Busto vi sta accanto?
«Basta cercare di farmi scendere nel particolare, preferisco fare discorsoni così, perché il caso specifico mi obbliga a scegliere e non voglio, ci soffro. Però soffro meno qui di quando facevo il commissario in Terrasanta. Almeno in convento ti sembra di avere tutto più sotto controllo».
Lei una ricetta ce l’ha per cambiare le cose?
«Al massimo posso mettere tutti in guardia nell’eccessiva esaltazione del proprio “io”. Per il resto non offro indicazioni, rompo le balle e basta, consapevole che poi me ne pentirò».
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