PROSPETTIVE
Forzieri sguarniti. Fra i tre scenari il “si salvi chi può”
L’analista Donato Scolozzi (Kpmg): «Bisogna evitare il collasso del sistema»

«Siamo abituati a pensare che il Sistema sanitario nazionale italiano sia l’unico in crisi in un mondo che funziona. Non è così: la sanità pubblica è in difficoltà ovunque. Ma solo da noi non si affronta apertamente il problema». A parlare è il dottor Donato Scolozzi, analista di Kpmg per i settori dell’assistenza sanitaria e delle scienze della vita. Il professionista leccese, ospite del workshop organizzato da La Prealpina su lavoro e salute, dopo aver fotografato la situazione attuale, ha delineato i tre scenari che si aprono di fronte ai cittadini (e dunque ai lavoratori) in un contesto in cui i forzieri della sanità pubblica sono sempre più sguarniti. Sono scenari tutt’altro che rassicuranti, per certi versi perfino inquietanti. «Ma bisognerà scegliere tra uno di essi, non vedo alternative», avverte Scolozzi, che studia questi temi da molto tempo (ha collaborato con il ministero della Salute ed è stato coinvolto in progetti di digitalizzazione della sanità nell’ambito del Pnrr).
«La prima prospettiva è quella attualmente in corso – osserva il dottor Scolozzi –. La definirei così: si salvi chi può. È un mondo in cui chi ha possibilità economiche, si rivolge alla sanità privata. Il che crea forti disparità non solo tra una regione e l’altra (dove le sanità viaggiano a velocità diverse), ma anche all’interno della stessa regione, dato che non tutti dispongono delle stesse risorse». Uno stato di cose, dunque, in cui – in sostanza – chi è benestante ha più possibilità di curarsi rispetto a chi è in difficoltà economica. Non proprio il migliore dei mondi possibili. C’è un’alternativa, auspicabile ma al momento poco realistica: «Consiste nella decisione di aumentare in maniera significativa il fondo sanitario nazionale – spiega Scolozzi –. Si decide che la salute sia un’assoluta priorità, e si stanziano dai 40 ai 60 miliardi in più. In questo modo potrebbe davvero iniziare una ristrutturazione del sistema. Non sarebbe ancora sufficiente, ma perlomeno consentirebbe di costruire qualcosa di solido». E se quei 40-60 miliardi non saltassero fuori? Si aprirebbe il terzo, allarmante scenario: «A quel punto bisognerebbe rivedere le promesse dei padri costituenti, e prendere atto che dare tutto a tutti non è possibile», constata il professionista di KPMG. Le conseguenze sarebbero epocali: il Servizio sanitario nazionale dovrebbe concentrarsi solo sui casi più complessi e urgenti. E anche qui: come identificarli? Certo, le malattie oncologiche e cardiovascolari rientrerebbero senz’altro nella categoria delle prestazioni erogabili dalla sanità pubblica. Ma in altri casi discernere sarebbe impresa complicata. In un quadro di questo tipo, con la sanità pubblica dedicata alle patologie più serie, sarebbero le imprese – con l’aiuto delle assicurazioni – a gestire la salute dei propri dipendenti, sgravando il Ssn da alcune spese. Anche in questo caso bisognerebbe prevedere conseguenze di non poco conto. Se i cittadini si rivolgessero in massa alle assicurazioni private, queste sarebbero in grado di reggere un peso tanto gravoso? L’intero sistema rischierebbe il collasso.
Possibile che non ci siano margini di manovra? «Spazi di efficientamento non ancora aggrediti ce ne sarebbero: penso ad esempio all’ambito della farmaceutica – fa notare Scolozzi –. Occorrerebbe una svolta culturale indirizzata verso scelte più funzionali. Anche la digitalizzazione può venire in soccorso da questo punto di vista. Onestamente però non ho ancora trovato imprenditori pronti a portare avanti fino in fondo queste battaglie».
© Riproduzione Riservata