L’ARTISTA
Francesca Alberti: il mondo dall’alto. «Mi sento libera»
La varesina circense è tentata dalla Francia: «Lì ci rispettano». Un consiglio alle ragazze: «Coltivate la sorellanza», e ai ragazzi: «Accettate i no»

Racconta che da bambina si arrampicava sugli alberi e che anche adesso, a 42 anni, sta sempre in movimento e il meno tempo possibile con i piedi per terra. Insomma poco c’è mancato che l’artista di circo contemporaneo Francesca Alberti, l’ennesima varesina eccellente uscita dalla fucina del liceo Classico Cairoli, chiedesse che quest’intervista si svolgesse alla sua altezza: non meno di 8 metri, ovvero la distanza dal suolo per lei ideale quando durante gli spettacoli e in allenamento volteggia, rimbalza, s’abbandona, s’attorciglia con la corda aerea. Semplice, rude, essenziale: «Innamoratissima dei tessuti aerei, quando l’ho scoperta mi ha catturata completamente». Come a dire: la corda è il suo secondo cordone ombelicale. Ma anche le sue ali. Nel 2017 alla Scala Francesca Alberti interpretò il corvide dispettoso con tanto di piumaggio lucente ne “La gazza ladra”, chiamata dal regista Gabriele Salvatores: oltre tre ore d’opera rossiniana svolazzante sopra le teste di soprano e tenori, in hovering, come si dice in gergo aeronautico.
LEI CHE “VOLA” SUL PALCOSCENICO DEL TEATRO ALLA SCALA: SI PUÒ SAPERE COSA PENSAVA IN QUEI MOMENTI?
«Non è che ci fosse tempo per pensare, tipo domani devo andare dal dentista. Ecco, rispetto a questa domanda mi chiedo piuttosto se la concentrazione sia una forma di non pensiero. Di sicuro, mentre facevo i miei numeri, mi sono goduta lo spettacolo. Era bellissimo ascoltare i cantanti e l’orchestra da quell’altezza, osservare i costumi, le parrucche, dietro le quinte c’erano momenti anche molto divertenti. Alla fine di ogni recita ero stanca morta, è stato faticosissimo».
SALVATORES, PIÙ SENTITO?
«Da allora no, ma all’epoca mi disse che aveva un’idea per un film».
SI DICE CHE “NEMO PROPHETA IN PATRIA SUA” MA PER LEI NON VALE...
«In effetti, quando tornai a Varese dopo quel periodo alla Scala fui accolta come un’eroina. È stato un momento importante della mia vita».
PERDONI LA DOMANDA BANALE MA È OBBLIGATA: CHE COSA SI PROVA A GUARDARE IL MONDO DALL’ALTO?
«Si prova una sensazione di libertà e anche di distacco dalla fisicità terrena. Ma l’emozione più forte è quella di sentirsi presenti a se stessi: è una forma di concentrazione, quasi di meditazione. Il respiro va di pari passo con i movimenti del corpo».
LEI INSEGNA ALLO SPAZIO KABUM DI VARESE E ALLA PICCOLA SCUOLA DI CIRCO DI MILANO: CHE I BAMBINI CRESCANO PIÙ SANI, SENZA LE FREGOLE DEL WEB, IMPARANDO LA SUA ARTE?
«È un bellissimo lavoro di gruppo, ognuno crea qualcosa di artistico. Ovviamente i bimbi stanno con noi poche ore alla settimana ma imparano a collaborare, a rispettarsi, a concentrarsi e ad accettare le diversità: quindi sì, penso che fare circo contemporaneo sia molto educativo».
INSEGNA ANCHE IN SVIZZERA: NON È CHE FUGGIRÀ DALLA PROVINCIA DI VARESE COME MEDICI E INFERMIERI?
«In realtà andrei in Francia, dove c’è una grande tradizione circense e rispetto per gli artisti. A Lugano collaboro con il Circo Fortuna, una scuola che d’estate organizza campi residenziali in montagna: i giovani dormono in tenda o in Casa Scout e per una settimana stanno con noi imparando a fare attività di circo, dal trapezio alla corda aerea, dai salti al monociclo e diablo. È un ambiente molto sano. Dimenticavo: per una settimana non possono usare i cellulari».
Una tragedia, insomma.
«All’inizio. Poi i giovani si abituano e sono felici e contenti».
TORNIAMO ALLA FRANCIA: LEI È UN CERVELLO POTENZIALMENTE IN FUGA?
«Confesso che a volte ci penso. L’Italia custodisce un tesoro d’arte e cultura e questo è fantastico, ma non c’è solo il passato: bisogna anche cercare di sostenere gli artisti contemporanei, riconoscendo l’importanza del loro ruolo per la crescita della società. Ma in Italia questo riconoscimento da parte dello Stato non esiste».
SE AVESSE DI FRONTE GIORGIA MELONI CHE COSA LE CHIEDEREBBE?
«Le chiederei perché nel novembre del 2023 il suo governo ha rigettato la richiesta di reddito di discontinuità, che i lavoratori dello spettacolo sostengono da anni, per approvare una legge che concede briciole. Le chiederei di ripensarci. La discontinuità è una caratteristica del nostro lavoro: un conto è fare gli spettacoli e un conto è pensarli, prepararli, provarli, ci sono inevitabilmente periodi in cui l’artista non viene retribuito. In altri Paesi dell’Unione europea questa discontinuità è stata riconosciuta. In Italia no, perché?».
IL COVID HA MESSO A DURA PROVA GLI ARTISTI: LEI COME SE L’È CAVATA?
«Ho fatto altri lavori. Il mio compagno di allora a un certo punto mi disse: perché non dai qualche lezione online? Così ho fatto: flessibilità, stretching, potenziamento. Erano corsi a contributo libero, perché mi rendevo conto delle difficoltà che tutti stavamo vivendo».
NON MI DICA CHE DURANTE IL LOCKDOWN SI ARRAMPICAVA SUI MURI...
«Ho sofferto molto, come tutti. Ero un po’ depressa. Mi scervellavo per trovare le possibilità di allenarmi in aria. All’epoca abitavo a Milano e avevo installato una corda in casa ma era davvero bassa. Così appena possibile sono fuggita a Varese, nel giardino dei miei, dove ho montato la piramide che uso per gli spettacoli».
A COSA STA LAVORANDO ADESSO?
«Lo spettacolo s’intitola “6Memos”, ispirato ai memos del libro “Lezioni americane” di Italo Calvino. Lo sto creando con due artiste di circo, Elisabetta Borrione e Jasmine Fornaciai, per la regia di Firenza Guidi. Tutte donne. Mancano da affinare alcune cose, tra cui le musiche e le luci: è un work in progress che abbiamo allestito a Pisa in dicembre e speriamo di potere fare una presentazione anche a Varese nel mese di aprile».
DIA UN CONSIGLIO ALLE RAGAZZE.
«Consiglio di coltivare la sorellanza e non l’invidia, di condividere i sogni e gli obiettivi. E di essere tenaci, come lo sono stata io: a 15 anni giocavo a basket in serie A, poi mi sono laureata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna ma non era ancora quella la mia strada. La svolta è avvenuta tardi, a 27 anni, quando ho scoperto le discipline aree: finalmente ciò che volevo fare nella vita. Posso dare un consiglio anche ai ragazzi?».
PREGO, ANCHE PIÙ DI UNO.
«Ragazzi, parlate di più, riconoscete quali sono le vostre vere emozioni, scollegatevi dalla falsa realtà dei social. E imparate ad accettare i no».
A PROPOSITO: ALLE SUE ALTEZZE, LONTANA DALLA TERRA, RIESCE A PERCEPIRE L’ORRORE DEI FEMMINICIDI?
«Certo che sì. È impressionante. Penso che tutto questo sia il frutto di una totale mancanza di educazione ai sentimenti. È capitato anche a me, non di subire una violenza fisica ma di trovarmi di fronte uomini che non riuscivano ad accettare un no. Si prova una sensazione molto brutta, perché ci si sente in pericolo».
LEI SI ALLENA IN MEDIA TRE ORE AL GIORNO: COME SI VEDE A 90 ANNI?
«Di sicuro, non alla corda aerea. Mi auguro solo di starci con la testa».
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