PENSIERI E RIFLESSIONI
«Quando la vita era governata dal cuore»: Galimberti spiega le emozioni
Il filosofo, saggista e psicanalista questa sera al Teatro di Varese

Sono praticabili le emozioni nella nostra epoca? E’ la domanda che muove la riflessione “Quando la vita era governata dal cuore” del professor Umberto Galimberti, filosofo, saggista e psicanalista che stasera, sabato 22 febbraio, al Teatro di Varese, ha servito un antipasto culturale ad Amore e Psiche, condiviso con il pubblico che ha riempito la sala.
All’epoca in cui a governare erano le emozioni, che sopravvivono nel cervello antico dell’umanità, Galimberti contrappone l’Età della tecnica che “non ha lo scopo di migliorare l’esistenza”. Un concetto che Pierpaolo Pasolini aveva già affrontato nel 1973 con il testo “Sviluppo e progresso”. In quest’epoca, in cui l’obiettivo è finalizzato al miglioramento costante e senza orizzonte, emozioni, parole, sentimenti appaiono accessorie o, addirittura, superflue.
LE EMOZIONI
Il filosofeggiare del professor Galimberti parte dalle emozioni, “risposte immediate agli stimoli”. Quelle emozioni che abbiamo imparato a imbrigliare e a disconoscere per amore di efficienza. La paura, l’angoscia, la gelosia, l’ira, il disgusto diventano vezzi ai quali dare accezione negativa e alle quali il saggio, prima ancora che saggista, professor Galimberti restituisce dignità, ricordando quanto siano utili alla sopravvivenza umana. Da mettere al bando anche l’empatia, quella orrenda “capacità di vedere cose poste nel cuore e nella mente dell’altro”. Una dote straordinaria e innata che induciamo alla rimozione perché ci rende “troppo sensibili”. E’ a questo punto che il dito del professore punta alla scuola che, nella visione di Galimberti, ha abiurato al ruolo educativo per ridimensionarsi allo scambio di informazioni.
LO SCENARIO NICHILISTICO
Nello scenario nichilistico dell’Età della Tecnologia, c’è però una buona notizia: i sentimenti, che sono un “evento culturale” si possono apprendere ed è dalla letteratura che si attinge questo sapere. Che siano i professori, dunque, a educare all’empatia e i giornalisti, a cui si rivolge, a non limitarsi all’uso di frasi semplici perché solo così si può ridisegnare un futuro che non punti solo al miglioramento, ma all’esistenza.
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