TRAGEDIA AL SANT’ANTONIO
«Ho smesso di vivere un anno fa»
Il dolore della mamma di Catello Di Martino, suicida dal quinto piano dell’ospedale

Un anno esatto fa una tragedia che ancora non ha risposte, un suicidio in ospedale che forse si sarebbe potuto prevenire.
Catello Di Martino, un ragazzo psichicamente fragile, che si lanciò nel vuoto dal quinto piano, approfittando di una porta che si affacciava su un cortile interno.
La famiglia - che reagì devastando il pronto soccorso - sporse denuncia contro ignoti ma nulla si è mosso, se non il filone processuale che riguarda i danneggiamenti e l’interruzione di pubblico servizio. I Di Martino andranno davanti al giudice monocratico a gennaio dell’anno prossimo, ma l’inchiesta sulla morte di Catello a cosa approderà?
Mamma Cira è disperata: «Ho smesso di vivere un anno fa, non vedo più la luce. Nessuno si sta occupando di quello che è accaduto a mio figlio, non abbiamo ancora avuto giustizia nonostante sia evidente che quella disgrazia si sarebbe potuta scongiurare».
La famiglia Di Martino, che è difesa dall’avvocato Corrado Viazzo, accusa il Sant’Antonio Abate di omicidio colposo dovuto a omessa vigilanza. Stando infatti alla loro ricostruzione delle ultime ore di vita del ragazzo, da giorni Catello chiedeva una visita urgente in pronto soccorso.
Il suo caso però non risultava mai prioritario rispetto a quelli degli altri utenti in attesa di visita, il suo turno non arrivava mai malgrado le sue richieste insistenti di farmaci. Era in uno stato di agitazione che lo faceva fremere, era irrequieto, andava e veniva dalla struttura.
Nel primo pomeriggio di quel giorno i suoi familiari si presentarono al triage infuriati con il personale, ma proprio mentre protestavano contro l’estenuante attesa, Catello sparì dalla sala d’aspetto. Qualche minuto più tardi il suo cadavere venne rinvenuto sul piazzale: salito al quinto piano del Sant’Antonio Abate, aveva aperto una porta antipanico e si era lanciato nel vuoto.
I fratelli e la madre esplosero in una rabbia incontenibile. «È colpa vostra» iniziarono a urlare, Michele Di Martino spaccò un telefono nell’ufficio del medico e prese a calci la porta del reparto, determinato a raggiungere i dipendenti. Arrivò la squadra volante ma nel frattempo Giovanni aveva già scagliato una piantana e una carrozzina contro la vetrata dell’accettazione, spaccando tra l’altro la pedivella della carrozzina stessa. «Io vi ammazzo tutti, avete ucciso mio figlio», gridava Cira distruggendo il monitor di un computer. mentre Giovanni faceva volare le panche in ferro e polverizzava tutto ciò che gli capitava a tiro. «Prendo una mitragliatrice e vi faccio tutti fuori, ve la faccio pagare a voi e ai vostri figli, vi stacco le teste. Qualcuno deve pagare, vado in galera per una causa giusta e mi porto la testa di questi bastardi», urlava.
Nessuna reazione avrebbe potuto riportare in vita Catello, l’unico risultato che ottennero fu la denuncia per resistenza a pubblico ufficiale, lesioni, danneggiamento, interruzione di pubblico servizio e minacce. «Ma nessuno si è ancora occupato di mio figlio, mi manca, non era questa la fine che meritava». Di certo c’è che quella porta di servizio è stata chiusa con un lucchetto. Nessuno più potrà usarla per uccidersi. Peccato non averci pensato prima.
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