IL CASO
Sei medici a processo. Assolti
Accusati dell’omicidio colposo di Antonio Diciannove. Dal dibattimento è emersa la correttezza delle loro procedure

A processo erano finiti in sei, tutti medici dell’ospedale accusati di omicidio colposo.
Ieri pomeriggio, lunedì 25 febbraio, il giudice Daniela Frattini li ha assolti in blocco, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Laura Martello, i parenti hanno revocato la costituzione di parte civile.
Per il tribunale il fatto non sussiste. Un esito che gli avvocati Alberto Arrigoni e Giacomo Gussoni avevano pronosticato fin dal giorno in cui il gup Patrizia Nobile rinviò i sei a giudizio.
Due di loro, oltretutto, erano stati coinvolti in un’inchiesta analoga, conclusa pochi mesi fa in appello fa con la prescrizione.
Il caso di cui si è occupato il giudice Frattini nel corso di una lunga e articolata istruttoria dibattimentale, riguardava il decesso di Antonio Diciannove, risalente al 2013.
L’ottantenne fu ricoverato al Sant’Antonio Abate per una nefrectomia: venne sottoposto a un primo intervento al rene che sembrava essersi svolto senza complicazioni, dopo qualche giorno però subentrò un’infezione. L’anziano dunque subì un’altra operazione chirurgica, ma la sepsi era così estesa e aggressiva che l’uomo non riuscì a combatterla.
Furono i parenti del paziente a sporgere denuncia, il fascicolo andò al pubblico ministero Maria Cardellicchio (ora in servizio a Milano).
I consulenti nominati per gli accertamenti non trovarono un nesso di causa tra l’operato dei sanitari e la morte di Diciannove, così il pm chiese l’archiviazione.
Assistiti dall’avvocato Giuseppe Zanalda, i familiari fecero opposizione, presentando una loro consulenza, e il gip Giuseppe Limongelli dispose l’imputazione coatta. In udienza il pm Luigi Furno (pure lui ora in procura a Milano) chiese e ottenne il rinvio a giudizio dal gup Nobile.
«Ma, caso unicissimo, il giudice disse di sentirsi tenuta a spiegare la sua decisione», ricorda l’avvocato Arrigoni. «Disse che a suo parere gli imputati sarebbero stati assolti, ma che visti gli esiti diametralmente opposti delle consulenze non se la sentiva di archiviare».
A parere degli esperti nominati dalla famiglia, l’intervento chirurgico non sarebbe stato eseguito correttamente: l’operazione provocò a Diciannove una breccia intestinale, quindi l’interruzione della continuità di un’ansa ileale dalla quale sarebbe derivato un peritonismo diffuso.
Il secondo intervento, sempre secondo i consulenti dell’anziano, fu effettuato troppo tardi, per questo il paziente non ce la fece.
Tra gli imputati ci sono quindi i due medici indagati in passato, il collega che aveva visitato l’ottantenne dopo la prima operazione e i medici di prima e seconda reperibilità che, una volta avuta comunicazione del peggioramento del quadro clinico di Diccianove avrebbero atteso troppo. Il pensionato andò in sala operatoria il 25 febbraio del 2013. Il 12 marzo spirò.
Il giudice Frattini, per togliere ogni dubbio, nel corso del processo ha incaricato due ulteriori periti, un urologo e un medico legale, che hanno confermato la tesi difensiva e quella originaria della procura: la tecnica della prima operazione venne eseguita correttamente e per quanto riguarda la seconda, l’infezione era ormai così vasta che se anche il pensionato fosse finito prima sotto i ferri l’exitus sarebbe stato comunque certo.
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