LA POLITICA CHE TREMA
Tangenti, il sistema Caianiello
L’ordinanza del gip e i magistrati che hanno condotto l’inchiesta svelano un mondo di “corruzione sistemica” che coinvolge politica, imprenditoria e organizzazioni criminali. Il ruolo centrale del “mullah”

L’ex coordinatore provinciale di Varese di Forza Italia Gioacchino “Nino” Caianiello, tra i 43 arrestati nell’inchiesta della Dda milanese, «è al centro di un potentissimo network di conoscenze, interessi, legami che avvincono il potere legale a quello illegale, l’economia alla politica». Lo scrive nella sua ordinanza il gip Raffaella Mascarino, sottolineando che l’esponente di FI ha manifestato il timore di essere arrestato e l’intenzione di "trasferirsi in Islanda".
Sull’intenzione di trasferirsi in Islanda si può glissare, ma certo sul fatto che la figura del “mullah” in un’inchiesta che varca - e di molto - i confini locali sia assolutamente centrale non si può dubitare. Lo ha ribadito il pm Luigi Furno durante la conferenza stampa al quarto piano del palazzo di giustizia: «Il trait d’union tra i due tronchi dell’inchiesta (quello milanese e quello gallaratese) è rappresentato proprio da Caianiello, il “principale indagato” dell’inchiesta».
Il quale ha approfondito, nel corso dell’incontro dei magistrati con la stampa, proprio l’aspetto varesino dell’operazione: «In provincia di Varese abbiamo scoperchiato una corruzione sistemica che faceva capo proprio al “principale indagato” e che si traduce in una sorta di sistema feudale, una decima riconosciuta al “sovrano“, cioè una parte della tangente da versare al vertice. Sistema che ha coinvolto nomine e incarichi, società come Accam spa, Prealpi servizi e Alfa spa (acqua), tutte attraverso figure apicali».
«Il “principale indagato” - continua il pm Furno - risulta condannato in via definitiva per concussione, con tanto di interdizione dai pubblici uffici. Ma il sistema corruttivo gli ha consentito di raggiungere un accordo con il concusso dal quale si è fatto ristornare il danno riportato nella sentenza sotto forma di risarcimento (circa 150mila euro comprese le spese legali), aggirando fra l’altro anche l’interdizione e continuando a tessere le trame della politica locale. Praticamente una sorta di corruzione al quadrato».
Caianiello a parte (e i vari personaggi della nostra provincia coinvolti, da Carmine Gorrasi a Laura Bordonaro, dall’imprenditore Piero Tonetti all’avvocato Stefano Besani a Marcello Pedroni di Prealpi servizi, dall’architetto Pier Michele Miano ad Alberto Bilardo fino all’assessore all’Urbanistica di Gallarate Alessandro Petrone, gli ultimi tre finiti in carcere), c’è un altro varesino illustre sfiorato dall’inchiesta, proprio in virtù di contatti con il “mullah”: il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, considerato parte lesa in quanto avrebbe subito le pressioni di Caianiello configurate in “istigazione alla corruzione”. «Su Fontana - ha detto il procuratore capo Francesco Greco - stiamo valutando la posizione, anche se un socio di studio legale del presidente ( Luca Marsico, già consigliere regionale di Forza Italia, ndr) ha poi ottenuto un piccolo ruolo in Regione. Non risulta indagato, lo dovremo sentire».
Lo stesso Greco ha espresso, all’inizio della conferenza stampa, il proprio scoramento rispetto a uno stato corruttivo altamente organizzato: «È il convolgimento attivo con la ‘ndrangheta che preoccupa, una situazione che non cambia da tanti anni. Ci si immagina che le cose cambino, ma resta tutto come prima o addirittura peggio».
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