AVVENTURIERI
Giovani talenti della montagna: due ragazzi scalano il Gran Diedro
L’impresa era stata tentata da pochi e non tutti l’avevano portata a termine. I due verbanesi hanno raggiunto l’obiettivo

Dall’alpinismo esplorativo, alla sua evoluzione, fino alla moderna arrampicata sportiva in falesia. E poi, il ritorno, all’esplorazione di cime e pinnacoli impervi. Se è sempre più in voga l’arrampicata sportiva, con moltissimi giovani che si avvicinano a questa disciplina anche grazie alla nascita di nuove falesie, spesso comode e con avvicinamenti brevi, c’è anche chi alla pratica della moderna arrampicata unisce il piacere della (ri)scoperta alpinistica, di casa nostra. E’ il caso di giovani scalatori verbanesi, Luca Favaretto di 22 anni e Iacopo Perelli Cazzola di 19, che hanno concentrato la loro attenzione sui Corni di Nibbio, con la ripetizione della salita del Gran Diedro del Lesino. Luca è ormai un conoscitore dei Corni di Nibbio, e da tempo gli ronzava in testa questo progetto; Iacopo è un forte scalatore ed alpinista ma non era mai salito su per queste impervie montagne, fu così che si organizzarono bene su cosa portare come materiale e come comportarsi in quel ambiente molto selvatico, dove le tracce di umano sono poche o nulle. E infine hanno deciso di partire, risalendo l’impervio vallone di Nibbio e pernottando prima di attaccare la parete completando in due giorni la loro impresa.
I TENTATIVI
Il «gran diedro» del Pizzo Lesìno (1990 m), la vetta più elevata della catena dei Corni di Nibbio, è chiaramente visibile dalla piana ossolana: una parete grigia alta 500 m e di gneiss fragile. Fu salito nel 1948 da tre giovani alpinisti di Ornavasso (Nicola Rossi, Giuseppe Oliva e Sergio Olzeri); poi più nessuno fino al tentativo nel 1978 di Alberto Giovanola e Gilberto Taglione, respinti dopo i primi due tiri dal sopraggiungere della notte. Nell’autunno del 2022, il «mistero» del Lesino è stato risolto dalla prima ripetizione della via da Fabrizio Manoni, guida alpina di Premosello, e Felice Ghiringhelli, alpinista di Cuzzago, che in tre giorni, dal 4 al 6 ottobre hanno ripetuto la scalata. Un’ascensione molto difficile, con due bivacchi e le luci dei laghi e dei paesi lontani a illuminare la notte. I numeri: 5 ore di avvicinamento sotto pesanti zaini e su terreno infido e impervio; 150 metri di canale di accesso instabile; 500 metri di parete vera e propria con difficoltà non altissime (un passo di 6c/7a) ma con un’arrampicata a volte delicata e spesso esposta e improteggibile. Fino alla nuova ripetizione da parte dei due giovani e promettenti scalatori verbanesi che fino ad un tratto dell’ascensione hanno ripercorso la via di Manoni e Ghiringhelli ma ad un certo punto hanno proseguito con una diretta lungo la fessura centrale della parete
L’AVVENTURA
Un’avventura indimenticabile per i due giovani alpinisti. «Per noi» spiegano i due ragazzi «sono stati due giorni molto impegnativi ma ne è valsa sicuramente la fatica. Confrontandoci con Fabrizio Manoni siamo convinti che i 3 ragazzi che nel 48 avevano dichiarato di aver scalato il diedro, evidentemente non erano passati dal centro di questa parete perché in quegli anni queste difficoltà non venivano scalate ancora, se non magari dai grandi alpinisti di fama mondiale, perché bisogna tenere conto che si scalava con gli scarponi ed equipaggiamento scomodo. La via si estende per 700 metri, va dal 3° grado fino ad arrivare al 7°+, e la proteggibilità è di r 5 ,ovvero molto scarsa. Nonostante il fatto che entrambi siamo molto giovani non ci siamo scoraggiati, sapevamo che sarebbe stato un lungo viaggio e che anche solo l’avvicinamento sarebbe stato molto difficile e faticoso, per non parlare poi della scalata, ma come si suol dire l’unione fa la forza e così è stato. Per due giorni c’è stato molto affiatamento tra noi due, anche perché una volta che ci siamo trovati davanti a questa parete i dubbi e le perplessità erano parecchi ma ci siamo motivati l’un l’altro e con molta determinazione siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo».
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