I FINALISTI
Helena Janeczek: la Storia nelle storie di tutti. «Ma il presente mi fa paura»
Tedesca di nascita, italiana d’elezione. Come i suoi racconti. «Per le mie origini ebraiche, oggi sono troppo coinvolta e sconvolta per scrivere di guerra e persecuzione»

C’è tanta storia nei libri di Helena Janeczek e anche Il tempo degli imprevisti non fa eccezione. Come se l’autrice volesse piantare bene in terra le radici dei propri racconti e al tempo stesso assicurare che personaggi e vicende sono certamente di sua invenzione ma più che mai verosimili. Del resto, la tradizione letteraria europea e quella italiana in particolare sono cresciute dall’Ottocento in poi (ma anche prima) seguendo questa stessa lezione. Basti pensare al capostipite del romanzo storico, Alessandro Manzoni coi suoi Promessi Sposi che la stessa Janeczek cita tra le opere preferite. Nel suo libro esiste un ampio e documentato spazio per le terre di confine tra Novarese e Varesotto e ancor più per la Milano d’inizio Novecento a cavallo della Grande Guerra. A volte sembra d’imbattersi in pagine di Storia più ancora che di letteratura e che quel primo conflitto mondiale non sia, tutto sommato, ancora finito. Vale per tutto il ‘900, troppo in fretta definito «Secolo breve»? Dipende dalla lente con cui si guarda al passato ma di sicuro, quando si parla del secolo scorso e quindi di quello più vicino a noi, risulta più facile pensare a una specie di continuità, dove il passato parla ancora al presente. E se però parliamo del Novecento in letteratura, non sta all’autore fornire chiavi interpretative, semmai attivare domande nel lettore, perché questi possa immergersi in un mondo letterario e quindi inventato ma rigoroso nella sua ricostruzione. Grande Storia con la maiuscola e piccola storia di chi non è diventato famoso ed è rimasto ai margini.
Come metodo, da quale delle due inizia in generale per imbastire le sue trame?
«Parto sempre da personaggi realmente esistiti, cui come ovvio ne aggiungo altri d’invenzione ma sempre contestualizzandoli nella vicenda e quindi nel periodo storico e nei luoghi reali che finiscono per interagire con la trama e renderla verosimile». Dopo la Valsesia, il Lago Maggiore e Milano, Il tempo degli imprevisti ci racconta Venezia, Merano, Trieste tra le due guerre mondiali e le leggi razziali.
Quanto ama l’Italia e il suo passato, lei che mescola nel suo sangue le anime tedesca, polacca ed ebraica?
«In Italia, dove ho trascorso grande parte della vita, a cominciare dalla giovinezza, mi sono trasferita per amore e attrazione e ho scelto l’Italiano come prima lingua per esprimermi. Sono nata in Germania, però questo è il Paese in cui mi rispecchio meglio».
Israele sul piano politico, gli ebrei su quello religioso stanno attraversando il momento più difficile dal Secondo dopoguerra. Ha paura di quanto sta accadendo?
«Sì, ho paura per tutto quello che accade e per questo motivo cerco di non farmi mettere sotto dalle notizie per lentamente trovare un modo con cui seguirle senza lasciarmene sopraffare, anche perché soluzioni a breve non se ne vedono. Per le mie origini ebraiche, al momento sono troppo coinvolta e sconvolta per scrivere di guerra e persecuzione ma col tempo chissà. Occorre una sedimentazione che metta a fuoco i fatti e le loro conseguenze».
Un pensiero sul Premio che la vede finalista e su Piero Chiara?
«Il Premio è in assoluto il più prestigioso che abbiamo in Italia per raccolte di racconti. La serietà con cui viene portato avanti è fuori discussione. Quanto allo scrittore, confesso da un lato di averlo letto poco e dall’altro che, come molti colleghi del Novecento, non merita la dimenticanza in cui è stato relegato. Colpa di una cultura che ha scarsa capacità di coltivare il proprio patrimonio».
Il servizio completo sulla Prealpina di mercoledì 16 ottobre, in edicola e disponibile anche in edizione digitale.
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