L'IMPREVISTO
"Ho la febbre". Udienza sospesa
Interviene in aula il medico del carcere: una tachipirina e il superteste riprende la sua farraginosa ricostruzione sulla morte di Uva
Alberto Biggiogero, il supertestimone del caso Uva è uscito dall’ospedale, dov’era stato ricoverato per calcoli alla colecisti, qualche giorno fa in buone condizioni di salute. Ma ieri, durante il suo esame nel processo per la morte di Uva a carico di due carabinieri e sei poliziotti, a un certo punto ha detto di non stare bene e di sentirsi febbricitante. Conseguenza inevitabile: l’udienza è stata sospesa e il presidente della Corte d’Assise Vito Piglionica ha disposto accertamenti sullo stato di salute del teste.
Nell’aula è arrivato così il medico del carcere, che ha visitato Biggiogero (37 gradi di temperatura) e l’ha rimesso in sesto con una tachipirina e un té caldo.
Dopo un’ora e mezza Alberto ha detto però di sentirsi ancora male da un punto di vista «psicofisico», e a quel punto il processo è stato rinviato al 12 dicembre (uno dei difensori degli imputati, l’avvocato Fabio Schembri, ha ipotizzato addirittura una perizia sulla capacità di testimoniare di Biggiogero).
Non sono stati questi, però, gli unici momenti dell’udienza in cui si è parlato della salute di Alberto Biggiogero, soprattutto dal punto di vista psichico.
All’inizio il pm Borgonovo ha chiesto al teste se avesse sempre curato con regolarità la sindrome ansiodepressiva di cui soffre da anni (prima risposta di Alberto: «Ho sempre preso le medicine»; seconda risposta: «All’epoca della morte di Uva non le assumevo regolarmente perché non ero regolare nelle mie abitudini e in quei giorni non le avevo prese»). E poi sempre il pm, per spiegare le «bugie» dette dal teste durante l’interrogatorio, ha ricordato alla Corte che un recente diario clinico riferisce riguardo al trentanovenne di «un tratto manipolatorio e parassitario» e di una sua tendenza a «proiettare le responsabilità su altri in modo rabbioso e vittimistico».
Singolari infine alcune dichiarazioni del teste sulle condizioni igieniche di Uva, che nell’ospedale in cui morì erano state definite pessime: «Tornato dal lavoro, quella sera fece una doccia, si applicò un balsamo che gli avevo regalato sui capelli e mise un paio di jeans puliti: era vanitoso, curava molto la sua persona».
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