ABBASSO
I nuovi muri a quasi 50 anni da “The Wall”
Mezzo secolo dopo l’album dei Pink Floyd gli autoritarismi ergono nuove barriere, anche immaginarie
Nel 1979 i Pink Floyd pubblicarono “The Wall”, uno dei loro dischi più iconici. Si trattava di un concept album, con protagonista una rockstar chiamata Pink che, a causa di una serie traumi, vive la sua vita come circondato da un muro: quello costruito da se stesso accumulando i mattoni costituiti da condizionamenti culturali dovuti a famiglia, istruzione, politica, guerre e quant’altro. A un mondo là fuori, insomma, spaventoso e soverchiante per chi non ha gli strumenti per opporvisi. In sostanza l'autore di quasi tutti i brani, il bassista Roger Waters, ragionava su come l'ambiente culturale nel quale si cresce diventi terreno fertile per chi ha intenzione di controllare la gente comune ed esercitare indisturbato il proprio potere. Chiudersi dentro un muro ci protegge ma è in realtà il modo migliore perché si rafforzi quel tipo mostruoso di dominio.
Esattamente dieci anni dopo l'uscita di “The Wall”, cadde un altro muro, quello di Berlino, rappresentazione plastica dei temi del disco, la cui distruzione è emblema di libertà a tutto tondo. Purtroppo sappiamo bene come quel momento simbolico sia rimasto un anniversario o poco più, ma una nuova rivoluzione, quella digitale, pareva aver eliminato anche solo la possibilità di edificare qualsiasi sorta di muro. La rete è libera, si dice da decenni, e la sensazione, accedendo al web, di essere un mondo svincolato da qualsiasi condizionamento ci ha trasformati in macchine digitali che vanno nel panico quando non trovano il cellulare per il terrore, non tanto di perdersi qualche telefonata, quanto di non poter più accedere, attraverso quella porta, a un ambiente nel quale siamo convinti di poter vivere in totale autonomia. Eppure, sempre che sia stato mai realmente così, forse le cose stanno per cambiare, ma in peggio. Alcuni paesi come Cina, Corea del Nord o Iran, non proprio esempi di libertà, proibiscono internet o lo condizionano con risultati più o meno efficaci, ma in Cambogia hanno pensato bene di compiere un salto di qualità con l'edificazione di un muro che, però, non può essere visto da nessuno pur essendo invalicabile. Si tratta infatti di un muro digitale, chiamato per la precisione National Internet Getaway: un sistema, in pratica, che filtra all'ingresso qualunque contenuto, prima che arrivi all'utente cambogiano. Immaginate un setaccio che fa sì che quello che non va bene al governo non passi e quindi venga negato alla popolazione. L'idea risale al 2021 quando l'allora presidente Hun Manet, al potere da 35 anni, si spaventò di fronte alle rivoluzioni avvenute in altri Paesi sulla spinta della rete e ora sta per essere messa in pratica, con la scusa di proteggere il popolo da messaggi pericolosi. Un po’ come quella madre che non lascerà passare lo sporco attraverso quel muro (“Mama won’t let anyone dirty get through”) come cantavano i Pink Floyd in “Mother”, uno dei brani più struggenti di “The Wall” nel quale un bimbo spaventato dal mondo che lo circonda chiede alla madre come comportarsi. E lei, proteggendolo in modo ossessivo anziché fornirgli gli strumenti per affrontare la vita, non fa altro che peggiorare le sue ansie e renderlo ancora più schiavo delle sue paure. Una forma di controllo che è proprio quello a cui puntano personaggi che, dietro la promessa della sicurezza, non fanno altro che rafforzare il proprio potere.
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