IL LIBRO
I veleni di Dongo
Festorazzi: «Non fu Audisio a uccidere Mussolini. Fatti manipolati per interesse politico»

Una vera battaglia storica e culturale, quella contro le storie sacre. È quella che combatte da anni il comasco Roberto Festorazzi, giornalista, autore di una trentina di volumi di storia contemporanea. Un’espressione, storie sacre, che riguarda il cammino del nostro Paese, soprattutto quello che coincide col periodo del fascismo, della Seconda guerra mondiale, della Resistenza e della Liberazione.
Un tema che ritorna anche nella recente ristampa, da parte dell’editore Pietro Macchione, del libro di Festorazzi I veleni di Dongo, volume austero, oltre trecento pagine, un’indagine condotta su documenti e testimonianze a proposito dei fatti attorno all’epilogo di Benito Mussolini.
Festorazzi, perché parla di «veleni» legati a una vicenda storica?
«Dongo è la madre (o il padre) di una serie di veleni, una sorta di nube tossica che da lì è partita e ha finito per determinare mistificazioni, bugie e contraffazioni su una serie di fatti storici: dalla morte di Mussolini, all’oro di Dongo, fino al carteggio tra Mussolini e Winston Churchill e alla vicenda dei partigiani Gianna e Neri».
A guardare e studiare questo periodo storico cosa ha scoperto?
«Ho scoperto che siamo di fronte a una storia sacra, cioè a una narrazione monopolizzata da parte di un protagonista, il Partito comunista italiano, che sulla morte di Mussolini ha preteso di dettare una verità in nome del suo essere stato protagonista della Resistenza».
In che cosa consiste questa storia sacra?
«I capisaldi di questa narrazione riguardano chi, come e quando venne ucciso Mussolini. È stato tramandato un mix tra verità e falsità: la verità indiscutibile è che Mussolini sia morto a una certa ora e in un certo luogo. Risulta, invece, in base alle ricerche che ho condotto in questi anni, che a uccidere Mussolini non sia stato Walter Audisio. Quindi la versione ufficiale va messa in discussione. Questa storia sacra va smontata».
Nel suo libro lei parla di «squadrismo rosso» e di «triangolo della morte» nel Comasco (dopo quello emiliano). Come è stato accolto da sinistra questo volume?
«Nel ‘96, quando è uscita la prima edizione del volume, fu accettato anche a sinistra come una ricerca storica oggettiva. Poi le cose sono cambiate e si è arrivati, nel 2000, quando Silvio Berlusconi tornò al governo, a cosiderare la ricerca storica come un’arma di lotta politica. E così tutti coloro che si permettevano di mettere in discussione i lineamenti democratici del Pci venivano bollati come revisionisti. A partire da quello che considero il mio maestro, ovvero il giornalista Giampaolo Pansa».
È curioso come oggi si continui a litigare sulla storia del Paese. È il caso delle polemiche sul monologo di uno scrittore come Antonio Scurati.
«I veleni continuano. E se in passato era vietato toccare la Resistenza e la Liberazione, oggi non si può toccare la storia del fascismo. O si condivide la mitologia positiva e antistorica, la storia sacra difesa dai neofascisti oppure si è censurati. MI sembra che la destra al governo sia piuttosto timorosa che si tocchino i fili scoperti del fascismo. Ma il problema resta lo stesso, pur essendo passati anni».
E cioè?
«La storia sacra non deve, anzi non può esistere: la storia deve essere soltanto profana. Sia che si tratti della storia del Ventennio fascista, che ha avuto in sé consenso e violenza (non dimentichiamo che stiamo ricordando Giacomo Matteotti), sia che si tratti di Resistenza e Liberazione. Occorre laicizzare la storia, raccontarla con documenti e studio. Ed essere revisionisti anche di sé stessi quando si scoprono fatti nuovi».
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