LIBRO
Vi racconto Furia, il poeta delle stelle e del meteo

Tutto cominciò dalla Luna e dall’Accademia di Brera. O forse no. Tutto cominciò come sempre per colpa di un padre e della sua passione per i cieli stellati nelle notti siciliane di un secolo fa.
È stato in braccio a un papà curioso, infatti, che il piccolo Salvatore Furia ha iniziato ad amare stelle e pianeti. Comunque sia andata, quando Salvatore Furia salì da Catania a Varese per raggiungere una zia aveva solo 16 e già un pensiero fisso: il cielo trapuntato di stelle, le orbite dei pianeti, lo spazio infinito.
Un pensiero che divenne passione e infine mestiere e che trasformò questo giovane operaio senza scuola, ma dall’intelligenza svelta e accesa, in un grande studioso, in un educatore e in un affascinante divulgatore del sapere scientifico.
In colui che «inventò» l’osservatorio astronomico Schiaparelli al Campo dei Fiori di Varese. Un’avventura incredibile, se ci si pensa, che si srotola dagli anni Cinquanta, quando tutto ancora sembrava possibile, e che con scrupolo e sentimento il giornalista Gianni Spartà racconta nel suo ultimo libro, «Pensieri positivi. Salvatore Furia, il cacciatore di stelle» (Macchione), presentato il 15 giugno a Varese.
Gianni, perché proprio Furia?
«Sinora ho scritto libri sulle persone che, seguendo la vocazione di questo territorio industriale e operoso, hanno prodotto oggetti, aperto fabbriche, venduto elettrodomestici... Salvatore Furia mi ha sempre emozionato e così ho pensato che fosse arrivato il momento di raccontarne la storia, che poi è quella di uno che mentre gli altri facevano scarpe guardava il cielo».
Quando inizia questa storia?
«Quando Furia da ragazzo arriva qui e vede il Campo dei Fiori, che probabilmente gli ricorda l’Etna. Una storia che prosegue con i suoi studi sulle caratteristiche del suolo lunare all’osservatorio di Brera, a Milano, dal 1953 al 1961. Salvatore era un semplice astrofilo, ma in tanti, compreso il direttore Francesco Zagar, ne colsero desiderio e capacità e lo assecondarono nell’idea di costruire un osservatorio».
A quei tempi era già famoso?
«Abbastanza. Il suo esordio pubblico risale al 1957, è un articolo sulla Prealpina in cui si annuncia che un gruppo di astrofili, nato nella cucina di casa Furia, comincia a osservare Marte che in quell’anno era in opposizione alla Terra. Il nostro quotidiano ha sempre dato spazio, e dunque credibilità, allo studioso, ma determinanti sono state le conferenze tenute a Villa Mirabello, anche perché a un certo punto Furia si dotò di un telescopio acquistato con i suoi risparmi da una signora bustocca, la vedova di Gaetano Spina».
Tutti erano affascinati da lui.
«Era un ottimo affabulatore, un poeta. Più avanti, riuscì a trasformare le previsioni meteorologiche in un invito a godere delle grande bellezza della natura. Parlava di ciuffolotti e capinere, diceva insilare quando spiegava che era arrivato il tempo di mettere nei silos le sementi e concludeva i suoi bollettini con l’invito a fare comunque pensieri positivi. Furia conquistava tutti, comprese le amministrazioni comunali, perché aveva bei modi e il gusto della divulgazione».
Quando ci fu il grande salto dell’osservatorio al Campo dei Fiori?
«Quando conobbe Chang-Sai Vita, un signore cinese, per la precisione un ebreo nato a Shangai, un industriale del mondo dell’abbigliamento che venne a Varese per conto di Mao. Un giorno Sai Vita invitò Furia a casa sua, che poi era Villa Diamante, e gli disse: lei mi ha conquistato, le do 50 milioni di lire per provare a realizzare il suo sogno. Una cifra che corrisponde oggi a un milione di euro».
E Furia?
«Donò la somma al Comune che accettò di costruire l’osservatorio sulla cima del Campo dei Fiori, sui 250mila metri quadrati nel frattempo donati al nostro da Sofia Zambeletti, discendente degli industriali farmaceutici di Milano. Metri quadri che poi divennero 384mila grazie ai terreni acquistati in seguito dal Comune».
È così nacque la Cittadella delle Scienze e della Natura.
«Beh, non proprio. Nel febbraio 1963 si costituì la Società astronomica Schiaparelli, a maggio cominciarono i lavori a Vetta Paradiso, ma ci vollero anni per completare l’impresa con gli arredi, le attrezzature, la strada di accesso, il telescopio».
Chi lavorò?
«Lui stesso, e il nutrito gruppo di giovani discepoli. Furia fu anche un bravo educatore e a decine, partendo da quell’ateneo del volontariato che è la Schiaparelli, sono diventati astronomi, botanici, ricercatori. Furia li gestiva con disciplina ferrea... A loro, tra cui Luca Molinari, che insegna fisica alla Statale di Milano e ne ha raccolto l’eredità con Vanni Belli, ha fatto realizzare la strada che porta all’osservatorio. Non solo stelle, dunque, ma anche pietre, cemento, spaccarsi la schiena».
Qual è l’eredità di Furia? Fu uno dei primi a parlare di ecologia...
«Vedendo quell’immenso polmone di verde che parte da Luvinate e arriva a Gavirate, sentì subito l’esigenza di proteggerlo. Se dal 1984 abbiamo il Parco regionale del Campo dei Fiori, lo dobbiamo alle sue battaglie furiose per portare regole su terreni privati, o di competenza degli enti, regole che imponevano quando raccogliere la legna, quando cacciare, divieti impensabili sino ad allora. Inoltre, Salvatore Furia ha fatto sua la campagna di Italia Nostra a favore del lago di Varese».
A questo proposito c’è un fatto che ha avuto risonanza nazionale.
«Sì, un giorno era talmente arrabbiato per i livelli di inquinamento raggiunti dal lago, che con i suoi ragazzi scaricò una montagna di melma presa dai fondali nella fontana di piazza Repubblica. Avrebbero potuto arrestarli, non lo fecero. Piuttosto, da quel momento la coscienza ecologica dei varesini iniziò a svegliarsi».
Certo che erano proprio altri tempi.
«Sì... Gli anni Sessanta ebbero diversi personaggi così, uomini illuminati, intuitivi, capaci di andare oltre gli schemi trascinando con sé tanti. La lezione di Furia resta attuale: il vero tesoro del territorio è la natura, sempre straordinaria nonostante le ripetute aggressioni subite negli anni».
E l’Osservatorio come sta?
«Va avanti, ma con un grande punto interrogativo perché i finanziamenti sono quel che sono. Mi auguro che anche con l’aiuto di questo libro si possa far qualcosa, magari trasformare il centro in una fondazione privata. Bisogna smettere di pensare che debba essere il pubblico a farsi carico di tutto. Ci potrebbe essere oggi un Chang-Sai Vita che omaggia la Cittadella di un milione di euro? Chissà. Ma credo che il luogo avrà un futuro importante se la città si mostrerà grata alla memoria di un romantico che ha avuto una visione ed è riuscito a realizzarla diffondendo sapere e anche lavoro».
La presentazione del libro è venerdì 15 giugno a Varese, alle ore 17.45 a Villa Recalcati, in piazza Libertà.
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