SUL PALCO
Il rapporto madre e figlia svela la fragilità umana
“La Reginetta di Leenane” con Ambra Angiolini e Ivana Monti fino al 22 giugno al Teatro Parenti di Milano

«Ci sono tante cose in questa storia che si legano all’attualità. Il tema della salute mentale quando si è tutti isole, quando ti senti con l’acqua attorno e senti che l’amore non basta, che l’amore isolato non genera sempre pensieri facili da sostenere ed elaborare. E odiare una persona con tutto l’amore che hai in corpo è quello che succede a Maureen: e dentro a tutte le contraddizioni di questo rapporto, l’unica via per stare al mondo è da un lato riuscire a liberarsi da frustrazioni interne, dall’altro che tutto questo dovrebbe essere discusso per essere elaborato, per capire quali sono quelle linee rosse da non oltrepassare e come rendersi conto quando si è entrati in un abuso d’amore». Ambra Angiolini è Maureen in La Reginetta di Leenanedi Martin McDonagh, con la regia di Rapahel Tobia Vogel, nella Sala Grande del Teatro Parenti di Milano dal 12 al 22 giugno in prima nazionale.
Maureen, quarantenne figlia dell’anziana Meg, interpretata da Ivana Monti, con cui vive da sempre in una casa isolata nel villaggio di Leenane, remota comunità della Contea di Galway, nell’Irlanda rurale degli anni Novanta, in un legame che è prigione emotiva fatta di dipendenza e piccoli ricatti quotidiani. Fino all’arrivo di Patrick, interpretato da Stefano Annoni, un pretendente che incontra e consola Maureen, rappresentando per lei «un primo raggio di luce, di speranza, di salvezza – spiega il regista Vogel –, una sorta di biglietto per evadere dalla rabbia di essere balia per tutta la vita di una madre anziana, inferma, ma che esagera talvolta la sua infermità per farsi accudire». Patrick, che spiega a Maureen che non è matta, ma solo una che forse pensa troppo alle cose che fa. In scena con loro, Edoardo Rivoira è Ray, personaggio portatore dei valori del villaggio.
Produzione del Teatro Franco Parenti, con le scene di Angelo Linzalata che creano una casa caverna con muri quasi in decadimento a trasmettere la mancanza di ossigeno, con gli oggetti quotidiani che si trasformano quasi in armi, luci di Oscar Frosio, costumi di Simona Dondoni e musiche di Andrea Cotroneo che danno seguito alla linea di tensione costante pur ogni tanto lasciando spazio a quelle caratteristiche di ironia di McDonagh dove la comicità si fonde però alla più cupa tragedia, porta una storia attualissima che potrebbe accadere dietro l’angolo di casa toccando anche le violenze domestiche.
«Queste due donne – prosegue Ambra Angiolini – sono un po’ due isole che vivono circondate da mare e neanche si toccano più, tra loro non c’è nemmeno il gesto quotidiano di una carezza, che non risolve, ma può cambiare le cose». Tra i temi, anche quello della «solitudine dilagante tantissimo anche tra i giovani – aggiunge Edoardo Rivoira –: il mio personaggio è immerso in questo dramma di noia e di necessità di relazioni di vita vera, ma al tempo stesso non ha nemmeno l’immaginazione necessaria per rendere questa cosa reale». Un testo che «sotto l’apparenza di commedia noir ha una tensione da thriller psicologico e da dramma, racconta la fragilità umana attraverso un rapporto tra madre e figlia simbiotico, quasi asfissiante, come se avessero un relazione sadomaso in cui si scambiano i ruoli di potere in una giostra infinita tra vittima e carnefice n cui non si sa mai chi sia vittima di chi – sottolinea ancora Vogel –. Ma sotto questo sentimento di convivenza malsana si è lavorato sul fatto che entrambe hanno bisogno di amore profondo e che, anche se in modo patologico, si amano veramente all’interno di questa disperazione. Mostrano anche i lati peggiori, ma non sono mostri. Sono solo persone disperate».
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