LA DEPOSIZIONE
Il superteste non convince
Caso Uva: Alberto Biggiogero interrogato per sette ore: "Contraddizioni eclatanti"
«Alberto Biggiogero è il testimone del processo per la morte di Giuseppe Uva - dice in aula il pubblico ministero, il procuratore Daniela Borgonovo, insistendo su quell’articolo determinativo che segnala un’importanza fondamentale - e per questo è essenziale la valutazione della sua attendibilità e credibilità».
Esame superato?
Dopo le sette ore dell’udienza di venerdì 28 novembre, naturalmente una risposta non c’è. Ma ci sono le parole che lo stesso procuratore ha pronunciato in aula nel corso di un esame che a un certo punto è stato anche interrotto perché Biggiogero ha detto di avere la febbre e di non essere in buone condizioni psicofisiche.
Per Borgonovo, tra le varie dichiarazioni sull’ultima notte di Uva che l’amico Alberto ha fatto negli ultimi sei anni e quanto dichiarato davanti alla Corte d’Assise presieduta da Vito Piglionica ci sono «contraddizioni eclatanti».
Ed è certo che per i due carabinieri e i sei poliziotti sotto processo per diversi reati, tra i quali c’è anche l’omicidio preterintenzionale, sarà stato confortante sentire il procuratore parlare di «risposte caute e reticenti» da parte del presunto supertestimone del caso Uva.
Così come ascoltare il presidente Piglionica rivolgersi a un certo punto a Biggiogero con durezza: «Attenzione che la falsa testimonianza è un reato, ed è un reato che si commette anche stando zitti».
Certo, i legali di parte civile, gli avvocati Fabio Ambrosetti e Alberto Zanzi, potranno dire che la testimonianza di Biggiogero, nel suo nucleo fondamentale, è stata quella che ci si aspettava. Alberto si convinse che poliziotti e carabinieri stavano massacrando di botte Giuseppe in caserma dalle «grida di dolore» che sentì dalla sala d’attesa, dal «viavai degli agenti» e dal fatto che «alcuni indossavano guanti neri».
Ma effettivamente eclatante è la differenza tra alcune parti del racconto in aula e il primo esposto del superteste su quanto sarebbe avvenuto anche durante l’intervento di carabinieri e poliziotti nel centro di Varese, dopo che Alberto e Giuseppe avevano spostato alcune transenne. Biggiogero ha infatti detto che sostanzialmente in strada non fu commessa alcuna violenza, a parte lo schiaffone di un carabiniere, per ricordare solo in un secondo tempo che un poliziotto l’avrebbe colpito con una scarpata alla schiena. E non ha fatto alcun cenno ai pugni e ai calci che aveva detto di aver preso in caserma nel tentativo di raggiungere Uva urlante, per ricordarsene poi solo dopo la contestazione del pm («Perché non l’ha detto?», «Non me l’aveva chiesto!»).
Altre contraddizioni?
Tra quelle emerse nel corso dell’udienza se ne possono citare un paio: le parole relative ai rapporti tra Uva e i suoi familiari (rapporti ottimi, anzi no: si erano querelati e Lucia Uva aveva preso il fratello a martellate in testa, «leggermente», però) e alla presunta relazione tra Uva e la moglie di un carabiniere (che nel corso degli anni diventa un carabiniere non meglio precisato, uno dei due di quella notte e poi un militare con nome e cognome: per la cronaca in aula Biggiogero ha detto di non avere «la più pallida idea» di chi sia: «Erano voci»).
Quanto poi alla lucidità del teste in quella serata e in quella notte del 2008, Alberto ha detto di aver assunto dalle tre del pomeriggio hashish, marijuana e cocaina, e di aver bevuto con Uva diverse birre e due cocktail: «Ma reggo bene l’alcol: ero alticcio ma sereno, direi dignitosamente brillo».
Alla fine interruzione in anticipo per gli evidenti problemi psicofisici del teste e rinvio per il controesame delle difese al 12 dicembre.
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