È QUI LA PACE
Il varesino Niccolò fra le macerie di Gaza: «Qui bombardano ancora»
Parrino, 25 anni, lavora come logista nella Striscia in una clinica di Emergency. «C’è una distruzione e una violenza senza limiti»
È già stato in Iraq, in Afghanistan, in Ucraina. Alla fine viene spontaneo chiedergli: scusi, lei quanti anni ha? «Venticinque». Ma prima di rispondere il varesino Niccolò Parrino ha un centesimo di secondo d’esitazione, come se rivelare la sua giovane età a un giornalista finisca per dare la stura alle solite retoriche generazionali. E infatti. A lui, logista per Emergency, in collegamento telefonico con Prealpina dalla Striscia di Gaza dove è arrivato un mese fa, non si può evitare di chiedere come la sua famiglia abbia reagito alla notizia dell’incarico lì, proprio lì. Dove la pace fra Hamas e Israele c’è ma ancora non c’è, perché il cielo è ancora scosso dal passaggio dei jet ed è un costante ronzio di droni. E le persone continuano a morire, uccise dalle armi o dalla fame. «Non con troppa tranquillità, ovviamente», risponde Parrino, studi classici al liceo Cairoli ed economici a Milano e ad Amsterdam: «In Iraq ci sono andato a 19 anni, quindi i miei genitori un po’ si sono dovuti abituare. Con loro sono sempre stato estremamente diretto, senza nascondere nulla sui rischi. Sono molto fortunato che lo capiscano e lo accettino». Il suo viaggio verso la Striscia di Gaza ha avuto come meta la clinica Emergency a Deir al-Balah, dove lavora. Quella «è l’unica parte ancora in piedi della Striscia. È un’area semi-umanitaria: non me la sento di chiamarla completamente umanitaria perché gli attacchi ci sono stati e ci sono. È qui che è stata mandata la popolazione praticamente di tutta la Striscia. È un’area grande quanto il Comune di Varese, solo che ci vivono un milione e mezzo di persone».
Intorno a voi ci sono migliaia di sfollati: che cosa ne pensano del trattato di pace firmato con la benedizione di Trump?
«Loro pensano quello che vedono. E quello che vedono sono le macerie delle case, dei negozi, tutti hanno avuto qualche parente ammazzato nella guerra. All’annuncio del cessate il fuoco ho visto due bambini fuori dalla clinica che mi salutavano felici urlando: “La guerra è finita, domani ce ne andiamo!”. Ovviamente non è finita e non possono andarsene. Qualche giorno fa una mia collega mi ha detto: “Quanto avrei voluto che tu avessi visto Gaza prima di tutto questo”. E io: “Magari fra qualche anno”. E lei: “Neanche i nostri nipoti la vedranno mai come era prima”. Non posso non crederle perché il danno arrecato è troppo grande. Ho visto gli effetti della guerra in Afganistan, ho visto l’Ucraina, ma non avevo mai visto una distruzione e una violenza senza limiti come qui. A queste persone, che potrebbero essere nostri parenti, nostri amici, viene tolta la dignità ogni giorno. E ora posso dirlo perché i miei occhi ne sono testimoni: l’umanità è morta a Gaza».
L’intervista completa nelle due pagine di approfondimento “È qui la pace” sulla Prealpina di venerdì 24 ottobre in edicola e disponibile anche in edizione digitale.
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