LA TESTIMONIANZA
«In Svizzera si lavora meglio»: parla medico frontaliere di Gallarate
Continua a tenere banco il tema dei lavoratori della sanità: «Qui c’è meritocrazia»

Sessanta chilometri all’andata e altrettanti al ritorno. Tanti ne ha fatti ogni giorno, per otto anni, un medico oculista quarantenne, frontaliere della sanità. Studi a Varese, poi il pendolarismo verso il Ticino, dal Saronnese ad un ospedale svizzero. Solo di recente il professionista ha accorciato le distanze, ma è rimasto in servizio in una struttura oltre frontiera. Mai pensato di ritornare per lavorare in un ospedale in Italia? «No per ora», risponde schietto il professionista mentre guida lungo la via verso il paese dove è cresciuto e ha messo su famiglia.
Risponde al telefono una volta passato il confine. «In Svizzera non c’è grande differenza tra il salario nel privato e nel pubblico. Ma il fattore salariale rischia di confondere, quello che fa la differenza è la qualità lavorativa: in Svizzera la qualità è molto buona».
Eugenio Porfido, il direttore generale dell’azienda sociosanitaria Valle Olona, a cui fanno capo gli ospedali di Busto, Gallarate e Saronno, ripete da tempo che la fuga dei medici è il «dato di realtà» di cui bisogna prendere atto per trovare una soluzione che inverta la tendenza e la Svizzera è il polo di attrazione che porta via una parte del personale perfino nel Gallaratese.
«È un peccato», conferma il giovane che si è formato nel Varesotto e pure abiterebbe a distanza ragionevole da diversi ospedali pubblici del territorio. «Un peccato ma la fuga rischia di essere sempre più marcata. In Ticino c’è molta più meritocrazia: se sai fare le cose e vuoi darti da fare, hai la possibilità di farlo». Il punto vero però, secondo l’oculista, è la qualità del lavoro. «Quando lavoravo in Italia mi è capitato di avere il laboratorio chiuso per due mesi per un guasto, qui non succede. Tornare significherebbe arrabbiarsi ancora di più perché so cosa significa lavorare bene».
NON TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA
Il professionista spiega che non è tutto oro quel che luccica dall’altro lato della dogana. Chiaro, se si vuole invertire la tendenza denunciata da Porfido la leva economica e dei benefici da offrire al personale sono una di quelle sulle quali fare forza.
«La sanità è diversa, in Svizzera c’è l’assicurazione obbligatoria», premette il medico. Poi ci sono gli aspetti legati alla vita da frontaliere. Chi decide di trasferirsi oltre confine deve mettere in conto il costo della vita e chi fa avanti e indietro deve mettere sul piatto della bilancia le ore perse nei viaggi avanti e indietro e le tasse.
Spiega il camice bianco: «Se una persona deve guidare un’ora e mezza al mattino e altrettanto alla sera gli direi di pensarci. Bisognerebbe sentire anche un infermiere o un oss per capire la loro situazione, che è differente da quella di un medico». Però resta un dato. «Sul piano salariale il fattore è x2. Uno dei miei mentori in Italia lavorava part time e ha concluso la carriera con uno stipendio da 1.800 euro, con tutte le responsabilità della sala operatoria che ti fanno rischiare una causa al giorno. Ricordo le battute che venivano fatte. Si accetta se si ha uno studio privato che si riempie grazie alla pubblicità che deriva dal lavorare in ospedale o si ha la possibilità di operare in struttura. In Italia inoltre gli scatti sono più lenti». Varesotto senza speranze? Forse no. «Nella maggior parte delle specializzazioni c’è un esubero, almeno fino al ricambio gli accessi saranno limitati».
© Riproduzione Riservata