LA MOSTRA
Jago e Caravaggio: nature morte in dialogo
All’Ambrosiana il cesto che contiene armi dialoga con la celeberrima opera. Il nobile e candido marmo che plasma strumenti di violenza

Un dialogo tra passato e presente, per riflettere sul tema della «violenza silenziosa che permea la nostra società». Un confronto non creato ad hoc, ma nato in maniera spontanea tra uno dei simboli della Pinacoteca Ambrosiana di Milano e Jago (pseudonimo di Jacopo Cardillo), lo scultore di Frosinone che fonde la tradizione della lavorazione del marmo con i linguaggi della comunicazione digitale e che ha aperto a Napoli il suo museo, nella chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi del Rione Sanità. Natura Morta. Jago e Caravaggio: due sguardi sulla caducità della vita, a cura di Maria Teresa Benedetti in collaborazione con Arthemisia, nasce da una profonda ricerca intorno al concetto stesso di fragilità, nel dialogo tra la Canestra di Caravaggio e una scultura di Jago. La piccola tela del Merisi, capolavoro di verità e natura, appartiene all’istituzione milanese fin dalla sua nascita. Citata già nel 1607 nell’inventario della collezione del cardinale milanese Federico Borromeo come «un quadro di lunghezza di un braccio, dove è dipinto un canestro di frutta, di mano di Michelangelo da Caravaggio», è una delle prime nature morte della storia dell’arte italiana. Un cesto colmo di frutta matura, uva, pere, fichi e mele, simbolo della pienezza della vita e al contempo della sua caducità. La bellezza data dall’imperfezione di una mela bacata, di foglie che si accartocciano, del tempo che passa inesorabile e trasforma le cose. Natura morta si intitola l’opera di Jago, un cesto di marmo bianchissimo, perfettamente rifinito, colmo di oggetti bellici: pistole, fucili, mitragliatori, proiettili, simbolo di una “natura” ormai contaminata dalla violenza e dalla serialità della produzione umana votata all’offesa della vita. La materia nobile e candida del marmo è impiegata per plasmare strumenti di violenza. «Con quest’opera - spiega Jago - ho voluto indagare la violenza silenziosa che permea la nostra società, quella che non si manifesta solo nei conflitti armati, ma anche nel modo in cui trattiamo l’altro, nel rifiuto, nella sopraffazione quotidiana. Un cesto colmo di armi ci dice che il frutto del nostro tempo non è più la vita, ma la distruzione». La scelta del marmo, materiale nobile e quasi incorruttibile, lavorato secondo le tecniche tradizionali della storia dell’arte, è parte fondamentale del messaggio di Jago: riallacciarsi alla tradizione e alla storia per denunciare le ferite del nostro presente, un mondo dove si produce morte come se fosse un prodotto di consumo. «La natura non idealizzata, eppure innocente, di Caravaggio - afferma il direttore della Pinacoteca Monsignor Alberto Rocca - è spunto per creare un canestro non più colmo dei frutti della terra, bensì di sofisticati e artificiosi strumenti di morte. La Veneranda Biblioteca Ambrosiana è ben lieta di presentare questa denuncia coraggiosa con una scultura che segna un ulteriore incontro fra passato e presente e che rinnova il linguaggio dell’arte, stimolando una critica intensa e attuale».
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