L’INCHIESTA
Jewel e Zouhair, da lavapiatti ad aiuto chef
Stranieri e lavoro: testimonianza da Induno Olona

Arrivare dall’altra parte del mondo o da un Paese lontano e iniziare una nuova vita, fra paure, sfide e soddisfazioni: è la storia di due giovani, approdati fra mille perizie dal Marocco e dal Bangladesh, ora astri nascenti nella cucina dello chef Damiano Simbula, patron del ristorante Due Lanterne di Induno Olona, nonché presidente dell’Associazione provinciale cuochi varesini-Federcuochi. In un periodo in cui la ristorazione cerca invano figure da inserire, tanto da non avere la certezza di restare aperti, l’ingrediente segreto si rivelano proprio gli stranieri: e pare che gli italiani, campioni del mondo nel gusto e nella buona tavola, abbiano perso la passione per i fornelli di casa, almeno per quelli professionali.
Dopo il covid, un disastro. I ristoratori mettono annunci, sulla rete o sulla vetrina dei locali, cercando disperatamente personale, anche senza esperienza, visto il bisogno. Le risposte? Poche, sciatte, non motivate, tanto che a volte i candidati nemmeno si presentano ai colloqui nell’orario giusto, senza scomporsi troppo davanti ai rimbrotti. Non è una situazione singola, ma generale, nazionale, ormai cronica. E quindi, come in un vaso comunicante, ecco l’avanzata corrispondente degli asiatici in particolare, pakistani, bengalesi, indiani ma anche nordafricani e dell’Est Europa che, superato l’iniziale scoglio della lingua, sono pieni di entusiasmo, disposti a mettersi alla prova fra pentole, ordini e turni impegnativi, di sera e nei fine settimana, quando lavorare è un sacrificio doppio.
Sarà davvero questo lo scoglio? I giovani non hanno voglia di faticare? Di sicuro chef Simbula conferma la tendenza e anche l’avanzata estera: «Noi abbiamo inserito questi due ragazzi di 27 anni, Jewel Matubber e Zouhair Errazine del Bangladesh e del Marocco, entrambi rifugiati politici - racconta -. Parlano inglese e di certo i primi momenti non sono facilissimi, visto che dobbiamo mettere in conto anche differenze culturali, di abitudini. Ma poi hanno voglia di imparare, di capire come funziona un ristorante qui. Entrati come lavapiatti, sono talenti su cui scommettiamo anche per posti di aiuto-chef in futuro: chi ha già una formazione ha un’arma in più, ma poi con spirito di adattamento si può crescere». E i ragazzi varesini? Non pervenuti, o meglio sul territorio non mancano certo le scuole alberghiere, dal Falcone di Gallarate al De Filippi di Varese al Cfp. Ma c’è una calamita potente contro cui combattere: la Svizzera, con stipendi doppi e anche di più che fanno venire comprensibilmente l’acquolina. «Noi li formiamo, diamo loro fiducia, ma poi molti vanno oltre confine e li perdiamo - prosegue Damiamo Simbula -. Secondo i dati nazionali di Federcuochi, poi, solo il 5-6 per cento degli studenti resta attaccato a questo settore, pur avendo fatti studi specifici: ci sono anche sbocchi universitari, per esempi in Scienze dell’alimentazione o economia della ristorazione ma la selezione è ancora più forte. Su 80mila frontalieri, il 16% lavora nei locali e questa per noi è una concorrenza enorme».
Sulla Prealpina di oggi, sabato 22 aprile, speciale di quattro pagine con numeri, approfondimenti e testimonianze
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