L’ANALISI
La banalità della tragedia si evita affidandosi a esperti
Noemi Milani, consulente e formatrice in materia di sicurezza sul lavoro, spiega come incidenti gravi sono spesso frutto di una falla nella routine lavorativa

Nulla di straordinario in un incidente sul lavoro: soltanto il capolinea di una somma di dettagli comunissimi. L’ha imparato sulla propria pelle Noemi Milani, nel corso di 14 anni di esperienza come consulente e formatrice in materia di sicurezza nelle aziende. «Ho dovuto gestire quattro infortuni mortali», racconta la fondatrice dello Studio ingegneria Milani, assicurando che «non è un trauma solo per i familiari della vittima, ma anche per le figure professionali costrette a fare i conti con un evento così tragico». E ogni volta si è trovata di fronte non a scenari inconcepibili, ma a prassi così consolidate da sembrare innocue, finché qualcosa non si è rotto là dove nessuno avrebbe sospettato.
L’esperta fa l’esempio della morte di un 18enne e del frangente che l’ha provocata: una leggerezza come tante, a sua volta figlia di una banalità logistica; una piccola falla nella routine lavorativa. «Non c’era un posto preciso dove tenere le chiavi di un mezzo – racconta Milani, in riferimento al contesto aziendale in cui l’incidente ebbe luogo – così sono state lasciate a bordo dello stesso. Questo ha comportato il fatto che qualcuno, non autorizzato, le trovasse lì e decidesse di utilizzare il veicolo». Ed ecco che, poco dopo, un ragazzo appena maggiorenne rimaneva schiacciato. La banalità della tragedia, in un certo senso: il concatenarsi di abitudini tollerate, gesti automatici e scelte imprudenti, in un effetto a valanga che fa nascere una svista di pochi secondi, ma dagli effetti incancellabili. «Nessuno ha calcolato – osserva Milani – che togliendo uno qualsiasi di quei tasselli interconnessi, si sarebbe evitato un evento disastroso». Quello ricordato dall’esperta è il caso di una vita stroncata dalla fragilità di un’intera filiera, che ha colto troppo tardi le proprie debolezze gestionali. In questo senso, scegliere la prevenzione significa anche affidarsi a chi sa cogliere le crepe invisibili, i varchi microscopici in cui il rischio si insinua senza farsi notare.
Di interesse soprattutto i “near miss”, ossia i “mancati infortuni”: un pannello del controsoffitto che si stacca e cade, e solo per fortuna non colpisce nessuno. «Ha dei benefici, monitorare tutte quelle situazioni che potrebbero portare a qualcosa di più grave – sottolinea Milani –. Così le persone imparano a vedere prima». Il “near miss” può passare inosservato, visto che per definizione è un fatto a lieto fine. Eppure costituisce una finestra sul futuro, una seconda possibilità concessa senza rumore. Riconoscerlo, segnalarlo, interrogarlo, significa allenarsi ad agire in anticipo sulla sequenza implacabile di note stridenti che, da un momento all’altro, potrebbe portare allo strappo definitivo. D’altronde «pre-venio, arrivare prima» sottolinea Milani: intervenire quando nulla ancora è accaduto, anche se qualcosa, se si guarda da vicino, sembra già indicare che tutto potrebbe andare storto.
L’analisi dei “near miss” è solo una fra le tante sfaccettature dei piani di miglioramento della sicurezza a disposizione dalle imprese. Sicurezza che Milani invita a vivere non come una gabbia normativa cui adeguarsi a denti stretti, ma come una «priorità sociale» che, quando assecondata, può dare risultati concreti, misurabili. Parla chiaro un’indagine condotta da Inail e Accredia su 45mila aziende: adottare un sistema di prevenzione certificato significa ridurre gli infortuni del 22,6% e abbattere del 29,3% l’indice di gravità degli stessi, relativo alle giornate di lavoro perse a da chi si è fatto male in azienda. Tradotto: meno incidenti, meno assenze, meno costi.
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