LIDIA MACCHI
La battaglia delle grafologhe
Il perito dell’accusa attribuisce due scritti a Binda, tesi opposta da quello della difesa. E prende la parola lo stesso imputato

Stefano Binda non scrive la “T” sempre allo stesso modo, ma questo dipende dalla sua «destrezza e dalla spiccata variabilità della sua scrittura», dice in aula Susanna Contessini, grafologa consulente della pubblica accusa. «Nessuno nega gli elementi di somiglianza tra i testi del dottor Binda, l’anonimo e l’appunto “Stefano è un barbaro assassino” - ribatte la collega Cinzia Altieri, consulente della difesa -, ma ci sono differenze, sotto gli occhi di tutti, che vanno segnalate e considerate, e che non possono essere spiegate con la variabilità della scrittura».
Il “duello” delle grafologhe coinvolte nel processo per l’omicidio di Lidia Macchi del 5 gennaio 1987 si è svolto davanti alla Corte d’Assise di Varese presieduta da Orazio Muscato nell’udienza di venerdì 27e non si è concluso con la “vittoria” di una delle tue tesi (Binda autore della lettera anonima “In morte di un’amica”, Binda estraneo alla stesura del testo), com’era del resto prevedibile. Forse Contessini è apparsa più sicura nella sua esposizione di Altieri. Ma quello che già il presidente Muscato aveva sottolineato in precedenza - siamo di fronte a due consulenze che arrivano a conclusioni opposte, una situazione «che non si verifica tanto frequentemente» - rimane un dato di fatto.
Contessini ha illustrato di nuovo il concetto di «variabilità» della scrittura dell’imputato. Un esempio? Binda quando scrive non mette mai il puntino sulla “i”, mentre nell’anonimo i puntini ci sono, ma non nel titolo, e comunque Binda scrive in modo “variabile” e quindi i puntini può metterli o non metterli, e la cosa non è conclusiva. Domanda del presidente? Ma non è che in questo modo si possono attribuire a Binda testi scritti da chiunque? Risposta: no, perché le analogie ci dicono che a scrivere è sempre lui.
Troppo facile considerare le analogie, dimenticando le differenze, ha risposto però subito dopo Altieri.
Al termine del confronto tra le grafologhe ha preso poi la parola lo stesso imputato, perché il sostituto pg Gemma Gualdi aveva sostenuto che l’ormai famoso appunto scritto “Stefano è un barbaro assassino”, vergato sul retro di una versione e inserito in una vecchia agenda, era stata riconosciuto come suo da Binda. «In sede di perquisizione - ha precisato l’imputato - ho detto che un quadernone trovato a casa mia non era di mia proprietà. Mentre per quando riguarda l’appunto ne ho disconosciuto la paternità, così come delle glosse alla versione sul retro, subito dopo in Questura, durante la fase della verbalizzazione».
Servizio completo sulla Prealpina di sabato 28 ottobre
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