VARESE
Che ne sapete del mio dolore? La lettera di Marta Criscuolo
L’intervento della vedova Limido e mamma di Lavinia

Caro Direttore, ho letto il vostro articolo sul numero di martedì 25 che titola fra gli altri de "Il dolore di Manfrinati" e penso che sia il caso di fare alcune precisazioni.
Quando l'assassino (presunto, ndr) mi ha parlato, il giorno dell'omicidio, mi ha detto con evidente tono di soddisfazione: «Ciao stronza, vai a vedere come sta tuo marito! Hai visto? Ho fatto una mattanza!». Era evidentemente convinto di essere riuscito ad uccidere anche la madre di suo figlio.
Se per dolore dell'assassino l'articolista ha inteso interpretare la delusione dell'assassino di avere scoperto di non essere riuscito ad uccidere la madre di suo figlio, l'articolo è ben centrato.
Posso oggi comunicare a tutti, dopo aver letto l'autopsia eseguita sul corpo di mio marito, che lo stesso è morto trafitto, tra le altre, da una pugnalata al collo che ne ha generato molto velocemente la morte; mio marito, e questa è per noi una seppur minima consolazione, non ha sofferto, ma si è velocemente addormentato. Se il dolore dell'assassino si sostanzia nel dispiacere di non essere riuscito a provocargli dolore, ecco anche in questo caso il vostro articolo è ben centrato.
Mette conto precisare però che, a dispetto delle affermazioni rese da controparte, mio marito ha tentato di fuggire dalle mani dell'assassino il quale lo ha rincorso. E ciò è facilmente desumibile dal filmato prodotto dalle telecamere da noi apposte e che a tempo debito intendo diffondere. Ciò significa che mio
marito aveva l'assassino alle spalle.
L'assassino ha tentato per ben tre volte di investire mio marito con l'auto; non riuscendoci è sceso dalla stessa e lo ha inseguito con un coltello. Dal filmato si vede mio marito senza la mazza da golf e dall'audio del filmato si sente la voce di mio marito che lo implora di gettare il coltello, ma l'assassino aveva intenzioni ben precise.
Il tentativo di legittimare l'idea che l'assassino si sia dovuto difendere, alla luce anche delle ordinanze emesse dal Tribunale del Riesame e dalla Corte di Cassazione, a seguito del tentativo, dal valore morale che lascio giudicare ai lettori, di fare uscire l'assassino dal carcere, è proprio incomprensibile: nove giudici si sono pronunciati negando vi fosse legittima difesa, tra i quali quelli della Corte di Cassazione. Non possiamo che avere rispetto per quei magistrati così attenti da avere esaminato a fondo la questione.
Resta il fatto che chi aggredisce alle spalle e corre dietro ad un uomo di 71 anni e poi non si assume la responsabilità del delitto, a mio avviso non prova alcun genere di sentimento.
Alla luce di tali e tante affermazioni inqualificabili, parlare di dolore dell'assassino è molto grave e tutto ciò che viene affermato in difesa dell'assassino diviene suscettibile di una lettura alquanto inusuale.
Che ne sanno certi soggetti del dolore che abbiamo provato mia figlia ed io nel vedere Fabio col capo reclinato sulla barella, ormai senza vita e Lavinia sanguinante in ambulanza?
Che ne sanno di cosa significhi scegliere la bara per Fabio; che ne sanno di che cosa significhi portargli i fiori al cimitero con tre figlie in lacrime ed un nipotino che singhiozza e che non si capacita che il padre gli abbia ucciso il nonno e abbia cercato di uccidergli la madre. Che ne sanno del dolore che avranno le mie due figlie che non verranno accompagnate all'altare dal padre; che ne sanno cosa significhi stirare le camice di Fabio che non c'è più, per avere dei ricordi di una quotidianità del passato che amavo tanto; che ne sanno cosa significhi perdere il gusto per la vita ma dover mentire e sorridere per non aggravare il dolore di figlie e nipote! O di ciò che ho provato quando l'assassino mi ha inviato una cartolina dal carcere, scritta in rosso sangue, sbeffeggiando la morte di mio marito, cartolina che raffigurava un altare tridentino e che certamente non gli ha fornito il carcere ma qualche parente o amico consenziente?
Che ne sanno di cosa significhi avere una figlia in coma, in rianimazione, gonfia, intubata, senza denti e livida per i pugni che il padre di suo figlio le ha sferrato e desiderare fare una strage, ma prenotare le vacanze, ordinare i mobili della sua casa, preparare pranzi e cene gustose per dare ai propri cari il gusto della vita che però tu hai irrimediabilmente perso?
Che ne sanno del pericolo che Lavinia versasse ancora liquido cerebrale, causato dalle coltellate infertele dall'assassino nei pressi del midollo spinale, quando la accompagnavo in bagno?
Che ne sanno di come mi sono sentita quando ho dovuto dire a Lavinia che il padre era morto per salvarla? E che la stessa notizia Lavinia ha dovuto dare a suo figlio?
E come ci siamo sentiti tutti quando mio nipote ci ha detto di avere capito da solo che era stato il padre ad uccidergli il nonno e a ridurre in fin di vita la madre? E quando mi ha chiesto, con la madre in ospedale, se fosse morta?
Che ne sanno i genitori dell'assassino che non ci hanno porto le condoglianze, non sono venuti alle esequie, non hanno mai chiesto notizie intorno alla salute di mia figlia, ma continuano a giustificare l'assassino? Che ne sanno!
Signor Direttore, un composto e rispettoso silenzio sarebbe stato molto più opportuno.
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