L'INTERVISTA
La mafia secondo Bruschetta
Figlio di una Sicilia che, a suo dire, "chi ci abita non se la merita", l'ecelttico attore, regista e scrittore si confessa a Gianni Spartà: "Con Cosa Nostra ce la fanno i cretini"

Con lo Stromboli che fuma all’orizzonte e un tramonto superbo che sfolgora sulle gobbe di Lipari, quasi una gara di effetti speciali, è difficile limitarsi a parlare di sceneggiati televisivi.
Ninni Bruschetta, classe 1962, messinese come Frassica e la Cucinotta, è un maestro del ramo: Squadra antimafia, Distretto di polizia, Fuoriclasse, Boris, eccetera. Ma se l’attore è pure regista, scrittore, direttore di un teatro, se ha fatto cinema con Woody Allen (To Rome with Love), Sabina Guzzanti (La trattativa), Pif (La mafia uccide solo d’estate), il colloquio assolutamente casuale, in costume da bagno, può andare oltre quello strano oggetto del desiderio televisivo chiamato fiction.
Spiaggia della costa tirrenica: il villaggio si chiama Rodia, tra Capo Rasocolmo e la punta di Milazzo, una volta lo abitavano solo pescatori, adesso ci trascorre le vacanze uno famoso. E queste cose fanno marketing come a Salina dopo che Troisi ci ha girato il Postino.
– Potenza e fragilità della Sicilia: risorsa incommensurabile, per natura, bellezza, cultura, ridotta a problema irredimibile per arretratezza, disservizi, quasi disprezzo. Tutta colpa della mafia?
“No, tutta colpa di un pensiero mafioso che si è istituzionalizzato. Dice bene Pif: i siciliani hanno fallito, non meritano niente. Non meritano una terra benedetta da Dio e dalla storia”.
-Che cos’è il pensiero mafioso istituzionalizzato?
“Ve lo spiego con un esempio. Un Comune deve assumere un dirigente scegliendo tra il raccomandato, il bravo, il cretino. Chi la spunterà secondo voi?”
-Il raccomandato...
“No, in Sicilia, nel Sud in genere, ce la fa il cretino. Questo è il pensiero mafioso. Puntare non su chi, essendo spalleggiato, ha l’obbligo di ricambiare il favore, ma sullo sprovveduto cui si può chiedere tutto, tanto non sa distinguere. Succede nelle istituzioni, nei luoghi della cultura. Succede da 50 anni e non c’è più nulla da fare. L’impoverimento culturale è stato violento, la mafia che è intelligente lo sostiene”.
-A proposito di cultura: nei nostri musei direttori non italiani. Chi se ne lagna è un provinciale?
“Sì, ma in un senso diverso da quello che ho letto in questi giorni. Siamo provinciali perché pensiamo che gli altri sono più bravi di noi e fa chic cooptarli con l’effetto tragico di mortificare ciò che abbiamo in casa. Io la penso così. Sono responsabile del teatro comunale di Messina, stipendio di 32mila euro l’anno, come un impiegato, sto per portare nelle città del Nord l’Amleto e avrei potuto scegliere tra almeno cinquanta attori conosciuti nella mia carriera. C’è poco lavoro, i cachet si sono abbassati. Ho puntato, per la parte del protagonista, su uno della mia città, Angelo Campora, trent’anni, bravo. Non lo conoscono? Questo è scommettere sui talenti propri”.
-L’emergenza profughi vista da una spiaggia risparmiata perché ha il mare a Nord. Ma scendendo verso Siracusa, Pozzallo sbarchi drammatici, inesauribili, insostenibili…
“Basterebbe leggere le Scritture. A differenza di quel che si dice degli attori, ho una sensibilità cristiana e mi ha sempre appassionato il tema delle profezia. La zona dell’Equatore si svuoterà, le popolazioni cercheranno rifugio a Nord e a Sud del mondo e nessuno può farci nulla, nemmeno Salvini. La verità è che sui migranti è in atto un’operazione di terrorismo ideologico, di ingigantimento di una questione assolutamente risolvibile. E’ una fiction creata ad arte, un falso problema L’Europa dovrebbe sostituirsi agli scafisti vigliacchi e assassini, andare incontro ai migranti, trasportarli magari incassando il prezzo che invece finisce in mani avide e irresponsabili. Questa gente ci toglie lavoro e risorse? E chi l’ha detto che queste risorse devono continuare a ingrassare un pubblico impiego inefficiente e privo di strategia? La fame prima o poi la soffrirà l’Occidente sazio e disperato”.
-Come si lavora con Woody Allen?
“Quando me lo chiedono sono tentato di rispondere: ho fatto una parte piccola nel suo film, non posso giudicare. Invece giudico. Se dico grande regista faccio ridere. Se vi racconto come ci preparava alle scene, svelo l’unicità del personaggio. Prima di dare il ciak, raccomandava di non farci condizionare dal copione. E io che, terrorizzato, lo avevo imparato a memoria…”.
-E con la Littizzetto? Fuoriclasse, la fiction in cui lei recita la parte del preside Lo Bascio, ha avuto un grande seguito.
“Luciana è Luciana. Io le dico, non per schernirla, che nessuno in Italia capisce la politica come lei”.
Attori in tv: più facile?
“No, più formativo. Lavori a ritmi talmente elevati che l’esercizio o ti distrugge o ti cala nei panni del personaggio come non accade in altre esperienze, al teatro, al cinema”.
-Che cosa sta preparando?
“Una miniserie televisiva intitolata Lampedusa. Faccio un maresciallo della guardia di finanza impegnato sulle motovedette che soccorrono i barconi con a bordo centinaia di disgraziati. Ho girato le scene sull’isola-simbolo di una tragedia epocale, il regista è Pontecorvo. Credo in questo lavoro, ma soprattutto credo nelle fiction di genere, quelle con più puntate, come Romanzo criminale, Gomorra, Boris. Utilizzata con questo format, anche la televisione diventa socialmente e culturalmente importante”.
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