TRA PALCO E REALTÀ
La provocazione: «Via libera alla rabbia»
L’artista Arianna Porcelli Safonov lancia l’idea del Perù. Prealpina aggiunge la lezione di Tolkien
Basta con il perbenismo imperante e la repressione della rabbia e della frustrazione. Da tempo gli psicologi e i terapeuti sottolineano che soffocare le emozioni non ha alcuna utilità ed è oltremodo dannoso. A rilanciare questo appello è ora Arianna Porcelli Safonov, che si è esibita ieri, venerdì 28 novembre, al Teatro Carcano di Milano.
La comica romana è nota per i suoi monologhi fatti di un’ironia cinica e sferzante. Uno stile che ha riconfermato ieri sera, nello spettacolo intitolato “Picchiamoci!”. Porcelli Safonov si è esibita in una serie di provocazioni sul tema della violenza attraverso battute, stoccate e “storie” inventate ma estremamente plausibili. La mattatrice ha parlato a lungo di violenza di genere, alternando momenti comici a situazioni che non è errato definire tragiche. Ha però affrontato anche una violenza che potremmo definire sociale e interpersonale, al di là del genere.
LA PROVOCAZIONE DEL PERÙ
Da qui poi, coerentemente con il suo stile, la provocazione di Porcelli Safonov che dà il titolo allo spettacolo. Il suggerimento, che definire curioso è riduttivo, viene motivato facendo riferimento al Takanakuy. Si tratta di una “festa” che si organizza tutti gli anni in Perù. Questa singolare tradizione si svolge ogni anno il 25 dicembre nella provincia di Chumbivilcas, sulle Ande peruviane.
Le persone che partecipano, sostanzialmente, se le danno di santa ragione. Lo scopo, secondo i peruviani, è quello di chiarire le controversie avute durante i mesi precedenti per poter iniziare un nuovo anno senza rancori.
Le risate che si sono scatenate al Teatro Carcano, dove c’erano anche molti varesini, rendono l’idea che si tratti di una tradizione difficilmente applicabile nelle nostre società. Tuttavia, la provocazione non sembra priva di un fondamento logico.
LA RIFLESSIONE
Ciò che resta dello spettacolo di ieri, però, è sicuramente il bisogno di riflettere sulla violenza e sul suo dilagare. Ogni giorno le cronache si riempiono di episodi di “sfoggio di forza bruta” e mancanza di rispetto, con le vittime che riempiono i pronto soccorso con lividi e fratture, se non altri “sintomi” più gravi.
Un’epidemia, quella della violenza, che riguarda anche le fasce più giovani della popolazione: sempre più spesso ragazzi e preadolescenti si rendono protagonisti di episodi violenti contro coetanei e non solo.
Molti esperti lanciano dunque l’allarme per le esplosioni di rabbia dilagante tra grandi e “piccoli”, uomini e donne. Il tutto, secondo alcuni professionisti, sarebbe da ricollegarsi ad una cattiva “abitudine”, diffusa in modo capillare: quella di soffocare le emozioni, in particolar modo quelle negative. D’altronde, in quella che è definita “società dell’immagine” è l’apparenza che conta. Non è opportuno, si ritiene, farsi vedere stanchi o indossando un outfit démodé, ma anche nervosi. Quello è appannaggio solo di alcuni politici, neanche tutti. E poi la rabbia, si sa, altera il colorito della pelle e bisognerebbe riadattare l’intensità della “ring light” [la lampadina circolare utilizzata da molti content creator per foto e video sui social, ndr].
LA LEZIONE DI TOLKIEN
Tutto questo evidenzia l’imperante necessità di una “educazione sentimentale” che porti a fare un focus profondo sui “capitoli” dedicata a rabbia, frustrazione e simili. Bisogna capire che si tratta di emozioni e, in quanto tali, meritorie di essere sperimentate ma che è necessario saper gestire in un modo che non provochi danni a chi le prova e alle altre persone.
Ad una mente un po’ “nerd” non può che venire in mente uno dei momenti più significativi del classico “Il Signore degli Anelli”. Nel libro di John R. R. Tolkien, poi trasposto nella trilogia premio Oscar di Peter Jackson nei primi anni 2000, c’è un episodio dove si racconta che gli hobbit Merry e Pipino, accompagnati da Barbalbero [il capo della comunità di alberi che parlano e camminano, simbolo dell’ambiente da tutelare dall’industrializzazione distruttiva, ndr] e ricercati dal cattivo stregone Saruman, scelgono di indirizzarsi proprio verso la torre di quest’ultimo. Scelta avventata? Non proprio. I due hobbit capiscono che, immaginandoli spaventati e in fuga, Saruman non li cercherebbe mai in casa sua, luogo che diventa così più che sicuro per loro.
Il riferimento letterario, sicuramente un po’ lungo, permette però di capire che spesso la soluzione migliore non è quella di fuggire lontano. Capita che la scelta giusta sia proprio quella di andare incontro a tutto ciò che ci spaventa o che ci dà noia, affrontare anche situazioni negative, per poterne poi uscire più forti e/o sereni.
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