L'INTERVISTA
"La Rai ha bisogno di te"
Alessandro Casarin, dalla Prealpina alla direzione del Tg regionale: "Uomo della Lega? Vengo di Varese"
Ignazio Vanelli, chi era costui?
Alto, imponente, colto, signore d’altri tempi, per diletto inviava corrispondenze alla Prealpina da Somma Lombardo, la città delle coperte, raccontando, tra l’altro, le leggende fiorite attorno al santuario della Madonna della ghianda.
Un dì - eravamo alla fine degli anni ’70 - al giornale gli dissero che doveva trovarsi un aiutante, possibilmente un giovane disposto a scarpinare per ospedali, caserme e municipi, a raccogliere e trascrivere le piccole notizie di cui un quotidiano locale vive. Altrimenti muore.
Lui scelse Alessandro Casarin, classe 1958, famiglia d’operai, un bravo ragazzo, etichetta lisa ma capace, al momento opportuno, di aprire la porta giusta.
Il tipo gli gironzolava per casa da tempo, leggeva i suoi articoli, lo tampinava considerandolo il chiodo al quale aggrappare il sogno di mettere piede nel mondo misterioso della carta stampata. Don Ignazio, pace all’anima sua, collaudò l’aspirante e costui, svelto come un gatto, cominciò a coltivarsi le amicizie di medici, marescialli, sindaci, segretari di partito.
Era adrenalina pura nelle vene di un giovane entrato in tuta blu dove tutti, alla sua età, sognavano di entrare: una grande industria aeronautica, la più vecchia del paese, la Secondo Mona.
Siamo sicuri, conoscendo molto bene il soggetto, che Alessandro l’ha pensata quella tuta quando tre settimane fa lo ha chiamato il direttore generale della Rai, Lorenza Lei, e con la voce magistralmente imitata da Fiorello, gli ha detto: abbiamo deciso, lei è il nuovo direttore del Tg regionale. Che significa signoria su ottocento giornalisti, ventidue sedi e tre milioni di spettatori al giorno.
Abbinato alla sostituzione di Minzolini al Tg1, l’annuncio dà scandalo: Maccari del Pdl e Casarin della Lega, la lottizzazione continua. Ciumbia, che novità.
«Uomo della Lega? Diciamo che vengo da Varese», la chiude lì l’ex ragazzo di Somma.
«Sono in Rai da trent'anni, del Tgr ero condirettore. O mi dicevano: sei un inetto, vattene oppure mi consentivano l’avanzamento. Hanno optato per la seconda ipotesi».
Forse ha ragione Seneca: non esiste la fortuna, esiste il momento in cui la voglia di arrivare incontra l’occasione. A posto così.
Prealpina amarcord
Casarin torna con la mente ai "fuorisacco" che da corrispondente spediva alla Prealpina, alla lettera d’assunzione firmata dall’editore Roberto Ferrario e dal direttore Mario Lodi (era il 1983, aveva 24 anni), al mestiere imparato da Pier Fausto Vedani, alle urla di Antonio Porro, formidabile cronista , ai suggerimenti più pacati dell’altro capo delle pagine provinciali, Maniglio Botti, alla palestra dura di Giorgio Minazzi all’edizione del Lunedì. Poi, mica da trascurare, le amicizie con i politici dell’epoca, soprattutto del Psi varesino e milanese.
Sono state determinanti?
«Frequentavo la sede del partito in via Gradisca a Varese, è storia. Ma sono sicuro d’aver fatto parte di una scuderia giornalistica nella quale, in quegl’anni, c’erano cavalli di razza che potevano gareggiare a San Siro. Parlo dei redattori della vecchia Prealpina. A un certo punto ho capito che potevo allargare i miei orizzonti fino a Milano e ho presentato domanda in Rai. Era il 1987: mi chiamò Elio Sparano, mi disse che dovevo dargli del tu, gli spiegai che cosa avevo imparato in provincia».
Che cosa?
«Fondamentalmente a fare l’uomo da marciapiede: andare, vedere, parlare, catturare notizie. Non facile il passaggio dalla scrittura alla voce. Dovetti studiare e mi servì molto la scuola di Biscardi al Processo del Lunedì: usava il linguaggio della gente comune per raccontare il calcio. Poi quel modello sarebbe stato adottato dalla politica, da chi la faceva e da chi la seguiva».
L’offerta rifiutata
Hai vissuto il passaggio dal monopolio alla concorrenza con l’arrivo del Tg5. Che cosa è cambiato?
«Abbiamo capito che non potevamo più limitarci all’informazione istituzionale, che dovevamo allentare i freni».
In politica uno cresciuto a pane e televisione: Berlusconi. Allineati davanti a lui?
«No, consapevoli che l’uomo sapeva parlare alla gente, al pari di Bossi. E noi eravamo il tramite e dovevamo adeguarci allo stil novo di queste figure emergenti. A proposito di Berlusconi avrei un ricordo personale...».
Sentiamolo…
«Da Arcore arrivò la notizia che dopo l’annuncio della discesa in campo il Cavaliere si sarebbe fatto intervistare. Chi ci va? Ci fu il fuggi-fuggi. Alcuni colleghi dissero che non ne valeva la pena, che Silvio sarebbe stato una bolla passeggera. Io mi resi disponibile all’incontro. Feci una domanda sul "pericolo comunista" e lui mi pregò di non mandarla in onda perché gli avrei bruciato un argomento da lanciare più avanti. In quel primo approdo gli interessava parlare solo di come ridurre le tasse degli italiani».
E diventaste amici?
«Credo di sì. Un giorno mi propose di lavorare per Mediaset. Rifiutai con cortesia. Non si offese, ma mi volle spiegare come si fa televisione: pensa a tua mamma quando prepari un servizio, chiediti se lei capirebbe. L’uomo è fatto così».
E Formigoni? Da caporedattore del Tg Lombardia ti sarai imbattuto nel poderoso arsenale comunicativo del governatore. Ingoiato qualche rospo?
«Non è stato un periodo facile. Il personaggio ama la prima fila, ci tiene a rimarcare il suo ruolo. Sa che il regionale di Milano è seguito da seicentomila persone e che i suoi servizi spesso finiscono su Tg1 e Tg2».
Meno affanni con la Lega?
«La conosco bene, essendo di Varese. Non ho fatto la prima storica intervista a Bossi come come è capitato a Ezio Motterle del Giorno e a un altro collega che chiamiamo Lupo, ma penso di essere persona informata dei fatti leghisti. No, da Gemonio nessuna chiamata dopo la mia nomina. Nemmeno da Arcore. Sono legato da rapporto di reciproca stima con la gallaratese Giovanna Bianchi Clerici. Che sta nel Cda della Rai».
Che Tg hai in mente?
«Ho in mente di affidarmi ai capiredattori. Il giornale lo fanno loro, un direttore vede il sommario delle notizie».
E Berlusconi?
«Vorrà fare il padre nobile di un partito che non morirà. Fa parte dell’Italia, come la Dc».
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