L’OMAGGIO
L’addio a Enrico Ferri, il medico che era luce
Chiesa di San Giovanni gremita per il giovane chirurgo
Ieri, nella chiesa di San Giovanni evangelista, era difficile togliere gli occhi da quella foto posta sulla bara di Enrico Ferri, il giovane medico scomparso la settimana scorsa. Sembrava che fosse lì ad aspettare i tanti amici che erano venuti a dargli l’estremo saluto.
Il suo sorriso era circondato da rose bianche. Davanti, piegato, il suo camice da chirurgo. Poco distanti la mamma Elsa, il papà Aldo, la sorella Beatrice, il fratello Alessandro, pronti ad accogliere la lunga fila di convenuti, a stringere in un abbraccio chi era venuto per consolare e ha finito per essere consolato.
La forza dell’Amore
A fare da cornice a questa atmosfera densa di dolore, ma soprattutto di grande fede, le parole del parroco, don Marco Casale, che ha presieduto la cerimonia, nella cui omelia l’accento è stato posto sulla «forza dell’Amore e della fede dei genitori» che contribuisce a far fronte a un dolore che, altrimenti, sarebbe insopportabile.
Ha preso vita la fotografia di Enrico sulla bara nel ricordare la sua dedizione di cuore e di tempo per i bisogni dell’altro, la sua ricerca fatta di momenti tormentati in cui ha sofferto e fatto soffrire, ma mai senza abbandonare la direzione del cuore che dona con intensità e delicatezza.
«Così si cambia il mondo»
«Eri una di quelle persone luminose che senza far rumore, cambiano il mondo attorno a sé - così tra la commozione è iniziata la testimonianza degli amici della Chirurgia -. Gentile, educato, altruista, generoso: qualità che in te erano virtù, natura. Arrivavamo in ospedale e già si avvertiva la tua presenza. C’eri sempre, come un faro prima dell’alba. Nessuno è mai riuscito ad arrivare prima di te: era il tuo modo di esserci per tutti. Instancabile, ma anche capace di ridere con un’autenticità disarmante, di scherzare con la purezza e la libertà dei caratteri buoni. Una forza mite, ma inarrestabile ti stava accompagnando nel tuo percorso, a diventare un grande chirurgo, un grande medico. Sarai sempre la mano che ci guida nei momenti difficili, il pensiero che rincuora nei turni pesanti, il sorriso che riaffiora quando ce n’è bisogno».
Il fratello Alessandro
Accanto all’altare spiccava la bandiera della Cri Comitato Medio Verbano. Tanti i volontari con la loro divisa a testimoniare la sua preziosità di volontario e di direttore sanitario del Centro di Accoglienza Straordinario di Cuvio.
«Ti hanno definito il doc dall’animo buono, il medico dolce, il primo ad arrivare l’ultimo ad andarsene. D’altra parte, i nostri genitori ci hanno cresciuti con valori forti, con senso profondo del dovere, dell’umanità e dell’impegno verso gli altri», ha detto il fratello Alessandro descrivendo quadretti famigliari molto intensi: le cene cucinate da lui, le serate semplici, quel pronunciare a tavola la parola proibita che tanto faceva arrabbiare papà, il suo sdraiarsi sul divano, mentre si scofanava i gelati guardando i film sui dinosauri. Sulla foto-santino di Enrico c’era un semplice Lisianthus bianco: un fiore che simboleggia la gentilezza, la cura verso il prossimo, la delicatezza nel modo di stare al mondo. Dietro la scritta di Giobbe: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore».
«Ora vola, oltre le stelle, alla fine del mondo. Vedrai, i nostri sogni diventano veri», hanno detto gli amici della Chirurgia.
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