INTERVISTA IN ESCLUSIVA
L’avvocato di Manfrinati: «Gli impedivano di fare il papà»
Il difensore rompe il silenzio a distanza di tre mesi dalla tragedia di via Menotti. «Enfasi mediatica nemica della verità. I processi si celebrano nelle aule di giustizia, non in Tv»

Sono trascorsi tre mesi da quella tragica mattina di maggio. Un lunedì. Lo choc che ha attraversato tutta Italia si è solo affievolito. Basta infatti un accenno – Varese, delitto del suocero e aggressione alla moglie – per ridestare con prepotenza i fatti (ancora controversi nell’interpretazione), le immagini, i commenti. Il difensore di Marco Manfrinati, l’avvocato penalista Fabrizio Busignani, non ha mai parlato pubblicamente, se non all’indomani dell’arresto. Poi il silenzio. Non per timore, anche se è stato minacciato per aver assunto la difesa di Manfrinati, o convenienza. Per prudenza: ogni cosa a suo tempo.
Ecco ora l’intervista in esclusiva alla Prealpina. E attenzione, detto a beneficio di chi legge: i toni sono fermi. Diretti. A tratti aspri. Nessun calcolo. «Adesso parlo io».
Avvocato Busignani, come sta Manfrinati?
«È un uomo provato, come tutti, dall’esperienza carceraria, ma soprattutto un uomo che sta molto male, come stava nei mesi precedenti al fatto poiché non si capacitava del fatto che a suo figlio fosse stato negato, in modo immotivato e preordinato, il diritto di crescere con il proprio genitore»
Parole forti…
«Guardi, sono due anni che al bambino è stato tolto suo padre. Il Tribunale di Varese ha autorizzato i colloqui in carcere con il minore ribadendo che il piccolo non è, né è mai stato, persona offesa da alcun reato ed altresì che una consulenza tecnica d’ufficio in materia civile ha evidenziato che Marco Manfrinati era riuscito a mantenere vivo il rapporto con il bambino e che lo stesso bambino aveva uno stretto legame con il padre, nonostante gli ostacoli posti e i limitatissimi mezzi. E infatti per dieci mesi padre e figlio si sono visti solo in videochiamata. Analogo assurdo trattamento era stato riservato anche ai nonni paterni, nonostante la citata autorizzazione al minore non è ancora concesso di poter incontrare e nemmeno sentire il padre».
La decisione del Gip di Busto che ha archiviato il procedimento per maltrattamenti in famiglia, la ritenete un punto a favore nell'ottica del processo a Varese per stalking e quello che verrà per l’omicidio del suocero e il tentato omicidio dell’ex moglie?
«La decisione dimostra che mai Marco Manfrinati ha posto in essere le condotte denunciate da taluno, anzi. Dimostra anche che la narrazione in ordine a tali falsi maltrattamenti fosse del tutto infondata, sebbene ancora oggi ciò avvenga, nel totale disprezzo delle prove che hanno dimostrato la totale estraneità del mio cliente rispetto ai fatti denunciati. Lo stesso Giudice del Tribunale di Busto Arsizio che ha archiviato il procedimento per sottrazione di minore ha stabilito che la condotta materiale del reato fosse stata posta in essere da Lavinia Limido. Quanto alle valutazioni difensive, esse verranno effettuate a tempo debito ma, certamente tale decisione dovrebbe porre sotto una luce assai diversa sia la lettura dei fatti prima del 2022, sia quelli di presunto stalking, sia di quelli successivi, poiché senza una valida ragione si era sottratto un minore al proprio padre, accusato di condotte che l’Autorità giudiziaria ha accertato essere state inesistenti».
Avvocato, lei è rimasto a lungo in silenzio e ha negato il consenso alle riprese del processo in corso a Varese…
«Ho sempre pensato che i processi debbano essere celebrati nelle aule di giustizia e non nelle Corti di assise televisive, nelle quali vengono raccolte solo le suggestioni, le opinioni di pseudo esperti e, peggio, il narrato utilitaristico di solo taluna delle parti processuali, ad esclusivo beneficio di una propria visibilità personale ma certamente a danno della verità giudiziaria. Nelle Corti di Assise televisive non ho mai visto la partecipazione di alcun P
pubblico ministero che si occupasse del caso trattato in Tv. Poiché non ho alcun interesse ad una visibilità personale, ma combatto per affermazione della giustizia, ho negato il mio consenso alle riprese in aula. E non le nascondo che le gravissime e reiterate minacce che ho ricevuto per avere assunto la difesa di Manfrinati hanno rafforzato tale mia scelta. Il legittimo esercizio del diritto di difesa del mio cliente ha suscitato reazioni del tutto scomposte e fuori luogo, numerose con tenore intimidatorio oltre che gravemente offensivo, a dimostrazione di un clima sociale inquietante».
Pensa che l'enfasi mediatica che inevitabilmente ha avuto la vicenda possa pesare sulla serenità di giudizio da parte dei magistrati?
«L’enfasi mediatica è sempre nemica della verità. Esiste una abitudine gravissima e del tutto errata di considerare una denuncia come una condanna. Solo un processo svolto secondo le regole accerta le eventuali responsabilità di qualunque cittadino, mentre la televisione ed i mezzi di comunicazione si curano dei risultati dell’audience più che di fare informazione corretta».
Colpa dei media?
«Dico solo che non è un caso che i nostri media siano i meno rispettosi della presunzione di innocenza in tutta l’Unione Europea, fatto accertato sin dal marzo 2021 da parte della Agenzia per i Diritti fondamentali dell’Unione Europea. Pensiamo alle immagini diffuse di Marco Manfrinati in manette all’uscita dalla Questura... ».
Perché? Inopportune?
«Costituiscono una palese violazione dell’articolo 114 del codice di procedura penale che vieta “la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta”. Nessun consenso è mai stato richiesto a Marco Manfrinati e persino qualche suo collega mi ha chiesto commenti su un presunto “sorriso” del mio cliente in tali immagini che sono e restano una violazione di legge. La costruzione ad arte del mostro “sorridente” è una mera invenzione per ragioni di raccolta pubblicitaria in programmi condotti da giornalisti che per primi violano la legge ed il loro stesso codice deontologico. Ma in ordine a ciò valuteremo le opportune azioni a tutela. Viceversa i Giudici hanno dimostrato capacità di discernimento encomiabile, almeno fino ad ora , nonostante gli insulti gratuiti nei talk show televisivi e, persino, le ingiurie proferite dalla stessa Lavinia Limido che li ha definiti “impreparati ed ignoranti”».
Pensa allora che abbia pesato sul giudizio dell'opinione pubblica?
«Penso che un processo avanti una Corte di Assise, come tale composta anche da una giuria popolare, però fatta anche di ascoltatori televisivi, possa essere influenzato dal “pregiudizio” a danno del “giudizio”, a causa di questa sovraesposizione mediatica. Citando una frase di Emmanuel Carrere "fare l’avvocato è proprio questo: fare tutto il possibile perché l'imputato sia processato sulla base del diritto e non delle passioni”. Diversamente la legge non sarebbe davvero uguale per tutti. Peraltro, gli stessi Servizi sociali del Comune di Varese a cui è affidato il figlio di Marco Manfrinati hanno stigmatizzato in modo durissimo la sovraesposizione mediatica sul caso, per le inevitabili conseguenze che ciò può avere sul minore».
Quanto è ripida questa difesa, la difesa di Manfrinati?
«La difesa è sempre un esercizio complesso, anche nel caso di un furto di un gelato».
Un pensiero a Lavinia e alla madre...
«Personalmente sono assai dispiaciuto del dolore che hanno provato e che continuano a provare per i tragici fatti del 6 maggio e spero che comprendano che essere un avvocato difensore significa difendere con onore anche l’essere umano più solo, più debole e finanche più miserabile, perché il diritto di difesa è assoluto e non può tollerare eccezioni o differenze di trattamento. E poi... »
E poi?
«Un'ultima amara riflessione che non posso esimermi dal fare, seguendo la vicenda di Marco Manfrinati ben prima che si verificassero i tragici eventi di via Menotti, è che nemmeno un gesto esasperato e disperato, che non vogliamo qui giustificare, ma di cui vogliamo dare una corretta chiave di lettura, abbia condotto Lavinia e la di lei madre ad una riflessione rispetto a quanto lo sproporzionato aumento di toni abbia generato, e continui a generare, a danno di un bambino che avrebbe potuto crescere tranquillamente anche con il suo papà e con i suoi nonni, in modo equilibrato come avviene nella maggior parte delle famiglie con genitori separati».
LA VICENDA
A mezzogiorno di lunedì 6 maggio Marco Manfrinati, che aveva il divieto di avvicinamento all’ex moglie, si presenta davanti all’ufficio della ditta della famiglia Limido, in via Menotti, mentre Lavinia sta uscendo per il pranzo. La aggredisce con un coltello e la sfregia. Lei urla, in sua difesa accorrono due vicini con un bastone e l’ex suocero Fabio Limido, che impugna una mazza da golf. La donna è salva, Manfrinati risale in auto, fa alcune manovre («Volevo andare a costituirmi», dirà poi), infine scende, accoltella e uccide il padre di Lavinia. Viene arrestato poco dopo dagli agenti della Questura.
Un mese dopo inizia in Tribunale a Varese il processo che lo vede accusato di stalking. Nel frattempo il gip di Busto Arsizio archivia sia il fascicolo per sottrazione di minore a carico di Lavinia Limido, sia quello per maltrattamenti in famiglia a carico di Marco Manfrinati.
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