UCCISE IL PADRE
Perizia psichiatrica su Marco Campanella
Il trentasettenne agì senza premeditazione al culmine di una lite

Ammazzò il padre Michele con settantacinque coltellate.
Un raptus? Poco probabile dato l’accanimento. Ma è proprio tanta efferatezza a suscitare un dubbio: possibile che il trentasettenne Marco Campanella soffra di un vizio di mente o che il primo luglio, giorno del delitto, fosse incapace di intendere o di volere?
Un quesito al quale il gup Tiziana Landoni vuole dare una risposta, per questo all’ultima udienza ha conferito il compito di accertare le condizioni psichiche dell’uomo allo psichiatra Mario Girola.
Dunque si tornerà in aula dopo il deposito della perizia per discutere il rito abbreviato, che a lui è consentito perché l’accusa è di omicidio volontario secco, senza aggravanti.
A parere del pubblico ministero Francesca Parola - che ha coordinato il lavoro del commissariato di polizia - non sussiste quella di aver ucciso un genitore (tecnicamente, un ascendente): Marco era stato adottato quando aveva un anno, non c’è legame di sangue. Esclusa anche la crudeltà: le ferite da taglio inflitte al settantunenne non sono poche, ma solo le prime tre furono fatali, quelle che vibrò al cuore e ai polmoni. Il settantunenne - stando al medico legale - sopravvisse all’aggressione per non più di due minuti, quindi non può configurarsi l’accanimento su uomo in agonia.
Il trentasettenne inoltre non agì con premeditazione: fu un impeto e un picco ingestibile di rabbia quello che lo aizzò contro il padre.
Marco era un adulto incompiuto. Laureato al termine del corso triennale nel 2018, aveva intenzione di provare il test di ingresso per la magistrale, senza però lavorare e quindi continuando a farsi mantenere da mamma e papà. Il padre - finanziere in pensione - negli ultimi due anni non tollerava più quel torpore in cui si cullava lo studente attempato. Lo spronava a trovarsi un impiego, si lamentava e i due discutevano sempre più spesso.
Quella mattina, nella casa di via Sante Giovannelli, scoppiò l’ennesima lite, scaturita a quanto pare da una banale richiesta avanzata da Michele: conoscere alcuni dati fiscali del figlio per comunicarli al commercialista. «Non sono cose da chiedere, sono dati personali. Mi sono molto arrabbiato, ho reagito per tutelare la mia privacy», spiegò il trentasettenne agli agenti che lo arrestarono e al pm Parola che lo interrogò il pomeriggio stesso.
Dopo aver macellato il genitore con ben due coltelli, il trentasettenne andò in camera sua e si riposò «dieci minuti».
Lo disse lui stesso agli investigatori, precisò che non andò a sdraiarsi perché fosse sotto shock, bensì perché «era stanco». Difeso dall’avvocato Alice Sanson, l’uomo scelse però di avvalersi della facoltà di non rispondere davanti al gip Luisa Bovitutti.
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