AL BEERBANTI
Rapina di Capodanno: processo
Prima udienza ma si attende l’estradizione di uno degli imputati, detenuto in Russia. Il secondo è invece uccel di bosco

Inaugurarono l’anno 2016 rapinando il bar BeerBanti di via Mulino Galletto. Per Ion Railean e Mihail Cretu si è aperto il processo davanti al gup Nicoletta Guerrero: le accuse sono di tentato omicidio, detenzione di arma da fuoco, rapina, ma l’udienza è stata subito rinviata a marzo, in attesa che Railean venga rispedito in Italia.
Perché il moldavo - che prima di essere individuato lasciò l’Italia - è stato arrestato a Mosca per altre vicende ed è lì detenuto. Il complice invece è primula rossa. Identificato dai carabinieri che svolsero le indagini non è mai stato catturato.
Fu un assalto molto violento quello del primo gennaio di quasi quattro anni fa. Erano le 7 del mattino, il proprietario dell’attività, Giacomo Cozzi, si preparava a chiudere dopo una nottata di lavoro. All’improvviso i due fecero irruzione, accompagnati da un terzo di cui nulla si è mai saputo.
Cozzi venne minacciato, cercò però di difendere il frutto del suo onesto lavoro, ma i malviventi - consumatori pesanti di cocaina - pur di portarsi via i 10mila euro dell’incasso non esitarono a ferirlo con colpi quasi mortali.
Cozzi, all’epoca cinquantasettenne, rimase per una settimana in ospedale tra la vita e la morte.
Fu la moglie a salvarlo prima del punto di non ritorno: preoccupata del fatto che non fosse ancora tornato a casa andò a cercarlo nel locale e lo trovò quasi dissanguato sul pavimento. I carabinieri della compagnia di Legnano si misero subito all’opera: interrogarono dipendenti ed ex dipendenti del locale in cerca di un possibile basista, qualche settimana più tardi trovarono l’auto usata dai rapinatori, abbandonata poco oltre il confine francese, vicino a Nizza.
Gli imputati erano evidentemente fuggiti all’Est e per un po’ fecero perdere le proprie tracce. Nell’attesa che i gendarmi consegnassero la macchina all’autorità italiana, i militari si concentrarono su altri dettagli, ossia il racconto della vittima e le immagini riprese dal sistema di videosorveglianza. Mancava però l’arma, probabilmente gettata nel fiume Olona dopo l’assalto.
Non è mai stata rinvenuta, ma una volta analizzato il veicolo consegnato dai colleghi nizzardi, gli investigatori raccolsero materiale biologico utile per risalire agli slavi.
Ma solo uno dei tre è dietro le sbarre, perché a quanto pare in Russia non aveva cambiato vita. Uno è rimasto sconosciuto e l’altro è uccel di bosco.
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