LA SPIEGAZIONE
Schiave del sesso col voodoo
L’antropologo al processo contro Mama Shola che costringeva giovani nigeriane a prostituirsi

Nel processo con rito abbreviato alla 45enne ambulante nigeriana residente nel quartiere di Mazzafame, in carcere dal luglio scorso perché accusata di riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione di due giovanissime connazionali, il gup milanese Guido Salvini ha disposto una perizia antropologica.
L’incarico affidato ad Alessandra Brivio, docente di Antropologia all’Università di Milano Bicocca - probabilmente un approfondimento mai provato prima in ambito giudiziario -, punta a chiarire, in modo scientifico, se i riti di iniziazione juju, impropriamente definiti voodoo, ai quali le ragazze nigeriane sono sottoposte in patria prima di partire per il loro “viaggio della speranza” verso l’Europa, sono a tutti gli effetti tali da condizionarne la capacità di autodeterminazione e di innescare situazioni di dipendenza e di soggezione verso la madame di turno una volta giunte nel nostro Paese.
IL MALEFICIO JUJU
Ad analizzare nello specifico la vicenda legnanese, la risposta sembrerebbe già fin d’ora affermativa. Una delle due ragazze sfruttate (rappresentata in giudizio dall’avvocato Lara Benetti), in quanto vittima del maleficio juju e temendo per l’incolumità propria e dei familiari, ha continuato a versare il “pizzo” anche dopo essere fuggita dal rigido controllo di Osadebamwen D., meglio nota come Mama Shola (sotto processo al pari del marito e di una figlia), che la costringeva a una vita da forzata del marciapiede tra Milano e l’hinterland.
Risulta dalle indagini che la ragazza aveva già consegnato alla sfruttatrice oltre 10mila euro. Solo una parte del debito di 35mila euro che, dopo essere stata sottoposta a rituali, era stata obbligata a sottoscrivere in cambio della libertà, da restituire con quanto guadagnato “vendendo” il proprio corpo.
LA TRATTA DI EDO
Un approfondimento importante e indubbiamente non semplicissimo per l’antropologa, invitata dal giudice a prendere in esame, tra le altre cose, la personalità di chi gestisce e somministra questi rituali prima della partenza, le modalità con cui sono avvenuti e anche a confrontarsi con le credenze di magia nera ancora molto popolari a Edo, uno stato della Nigeria meridionale, capitale del traffico di esseri umani (le due parti offese e la loro sfruttatrice vengono tutte da lì) e anche patria di una religione tradizionale dell’Africa Occidentale chiamata per l’appunto juju.
L’obiettivo è capire, e la risposta potrebbe essere utilizzata in tanti altri processi all’attenzione delle cronache, se il rito - con i suoi strumenti inquietanti: per esempio, sangue, capelli, zampe di pollo -, sia il mezzo che riduce le ragazze in uno stato di schiavitù psichica rendendole quasi sempre incapaci di ribellarsi e di rivolgersi alle nostre autorità.
«NON AVRAI PACE»
«Da qualsiasi parte che sei tu, non avrai la pace di mattino, pomeriggio e di notte. No, non t’ho regalato quei soldi che ho speso per portarti dalla Nigeria all’Italia. Tu avrai sempre il fuoco addosso, non avrai la pace per la tua vita».
Questo è L’estratto di un’intercettazione ambientale effettuata dai carabinieri della compagnia di Legnano comandati dal capitano Francesco Cantarella all’interno dell’utilitaria della principale imputata, in cui si ascolta una sorta di monologo, sotto forma di preghiera-invocazione ad alta voce, con il quale non fa altro che augurare rovina e sfortuna perenni a una delle due ragazze (entrambe parte offesa nel processo e ospitate in comunità protette, ndr) la cui unica colpa è quella di aver osato ribellarsi a Mama Shola.
In altri passaggi, la madame invece prega e implora il suo Dio affinché la sua ormai ex “schiava” paghi il suo debito.
LA DIFESA-ACCUSA
In più, acquisite agli atti, vi sono numerose conversazioni dalle quali emerge con chiarezza il coinvolgimento diretto della 45enne nigeriana nella tratta della ragazze da Benin City all’Italia («per far attraversare una persona dalla Nigeria fino a qui servono circa 380 euro») e nella gestione delle ragazze sul posto di lavoro, ovvero sui marciapiedi. «Le due ragazze che mi accusano dormivano in un’unica camera, avevano le chiavi di casa», si è giustificata nel corso dell’interrogatorio in cui ha negato sia di aver avuto a che fare con il viaggio dall’Africa a Legnano sia di averle costrette a prostituirsi.
«Solo una volta una delle due mi ha dato i soldi per mangiare, all’incirca 50 euro, mentre per dormire mi ha dato 200 euro. L’altra mi ha dato 200 euro mensili per dormire, mentre i soldi per mangiare me li dava se li aveva».
SE NE RIPARLA A MAGGIO
La consegna dello studio del perito è stata fissata per il 24 maggio, data della prossima udienza del processo. Solo allora sarà possibile capire fino in fondo quella che allo stato dei fatti può sembrare una situazione dettata solo da ignoranza e superstizione.
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