L’INCHIESTA DI BRESCIA
Veleno al posto del concime
I fanghi tossici sarebbero stati usati da un’azienda agricola legnanese

L’unica azienda agricola della provincia di Varese che ha utilizzato i fanghi tossici spacciati come concimi da un’azienda bresciana si trova a Legnano, che è in provincia di Milano. La ricostruzione della mappa dei veleni è appena iniziata, ma la conferma arriva direttamente dal Gruppo carabinieri forestali di Brescia, che ieri l’altro ha dato notizia della complicata inchiesta che coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica Mauro Leo Tenaglia ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 15 persone e al sequestro di tre diversi stabilimenti dove i fanghi venivano lavorati.
Doppio sconto
I fatti contestati risalgono al periodo tra gennaio 2018 e agosto 2019. Per farla breve, l’azienda bresciana acquistava i fanghi residui dalle lavorazioni dei depuratori pubblici e privati che trattano acque reflue urbane e industriali, per poi bonificarli e convertirli in concime che era quindi rivenduto alle aziende agricole. Il prezzo di questi fertilizzanti era particolarmente conveniente, in più l’azienda lo piazzava facendosi carico dello spargimento e dell’aratura dei campi. Gli agricoltori quindi accettavano di buon grado, perché risparmiavano sia sul concime, sia sulla lavorazione dei terreni di loro proprietà. Secondo quanto accertato dai carabinieri, però, i fanghi che l’azienda classificava come “gessi di defecazione” non solo non erano sottoposti a bonifica, ma anzi erano ulteriormente avvelenati con l’aggiunta di inquinanti come l’acido solforico derivante dal recupero delle batterie usate, un rifiuto speciale che ha alti costi di smaltimento.
Cinquemila Tir
In questo modo l’azienda bresciana avrebbe trattato oltre 150mila tonnellate di fanghi contaminati da idrocarburi, metalli pesanti e altri inquinanti, l’equivalente di 5mila Tir di concimi velenosi che sarebbero stati usati per fertilizzare 3mila ettari di terreni agricoli un po’ in tutto il nord Italia, tra i quali appunto anche quelli di proprietà dell’azienda di Legnano. Un giro d’affari che avrebbe reso ai 15 indagati profitti illeciti per oltre 12 milioni di euro.
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