DOPO DIECI ANNI
Lonate, libero il contabile della ‘ndrina
Nicodemo Filippelli è stato scarcerato

Era l’ultimo dei bad boys ancora in carcere: da pochi giorni Nicodemo Filippelli è libero, a differenza dei vecchi coimputati che nel frattempo sono tornati dentro.
Il cinquantenne venne condannato a nove anni, undici mesi e dieci giorni: secondo la procura antimafia di Milano, il lonatese originario di Cirò Marina era il ragioniere della ‘ndrina che negli anni Novanta colonizzò il territorio.
Avrebbe riciclato beni attraverso società compiacenti o fittizie, create con il compito precipuo di incassare denaro mediante emissione di fatture per prestazioni lavorative o vendite false. Una mente criminale brillante, ma in fondo un grande ingenuo. Il pubblico ministero Mario Venditti disse in aula, durante il processo a Busto Arsizio, che «i carabinieri di Varese dovrebbero fargli un monumento, perché ha sempre parlato moltissimo, consentendo intercettazioni determinanti per l’attività investigativa».
Nicodemo Filippelli si occupava quindi di ripulitura e titoli bancari fruttati dai reati più comuni alle organizzazioni criminali, come l’usura, il racket, l’estorsione. Il cinquantenne - che è difeso di fiducia dall’avvocato Corrado Viazzo - non è tornato a Lonate Pozzolo, è rimasto in Calabria dove ha trascorso buona parte degli anni di detenzione.
Ma per il resto del clan che faceva capo a Vincenzo Rispoli la strada processuale è ancora in salita.
Per il 27 settembre è attesa la sentenza dell’operazione Krimisa 2. Sei giorni prima, per gli imputati che scelsero il rito abbreviato, inizierà l’appello di Krimisa 1 con udienze calendarizzate fino al 4 novembre. Il 14 settembre invece partirà l’appello di chi fu giudicato con rito ordinario dal collegio di Busto Arsizio, presieduto dal giudice Rossella Ferrazzi. E sempre a settembre riprenderà la corte d’assise per l’omicidio di Cataldo Aloisio, ucciso il 27 settembre 2008 a Legnano. Imputati Vincenzo Rispoli, Silvio Farao, Cataldo Marincola, Francesco Cicino e Vincenzo Farao.
Un’indagine che poggia soprattutto sul contributo dei collaboratori di giustizia che, pentendosi, hanno dato consistenza probatoria ai sospetti e alle intuizioni che gli inquirenti della dda già coltivavano da tempo. Uno su tutti, Emanuele De Castro, pregiudicato che per vent’anni è stato l’uomo di fiducia di Rispoli, il suo braccio destro, l’intoccabile ma che dopo l’ultimo arresto ha deciso di cambiare vita. Alcuni dettagli cruciali sul delitto Aloisio li ha forniti proprio lui ai magistrati Alessandra Cerreti e Cecilia Vassena, ma il collegio difensivo - composto dagli avvocati Luigina Pingitore, Michele D’Agostino, Antonio Amelio, Gianni Russano, Emanuele Occhipinti, Sergio Rotundo, Antonio Galati e Gianfranco Giunta - ritiene di possedere elementi per minare la credibilità dei pentiti, partendo proprio da quella di De Castro che finora non ha apportato colpi di scena svelando verità inimmaginabili o coinvolgendo soggetti su cui mai si è appuntata l’attenzione degli investigatori. Tra l’altro, il giorno dell’esecuzione di Aloisio De Castro non era neppure a Legnano. Era a Palermo, al matrimonio di un parente. Perché lui è un siciliano adottato dalla cosca calabrese, altre radici insomma. Motivo per cui molti degli affiliati cirotani nutrivano dubbi su di lui, partendo da Mario Filippelli che - si legge nelle intercettazioni - l’avrebbe ucciso senza remore.
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