LA SENTENZA
«Mi era antipatico»: rogo dal gommista
Processo per un incendio di sette anni fa si chiude con una condanna

Strascichi di Krimisa ancora a processo: il collegio presieduto dal giudice Rossella Ferrazzi ha condannato a un anno e sei mesi un fedele della cosca cirotana, Gianluca Crisafulli, l’uomo che insieme a Simone Lento (giudicato separatamente) dette fuoco alle gomme di un’officina per accondiscendere Emanuele De Castro, pentito ormai dal 2019.
«Mi stava antipatico il titolare», ha ammesso il collaboratore di giustizia sentito in videoconferenza l’altro pomeriggio per precisare alcune circostanze prima della camera di consiglio. Perché non gli piaceva il gommista? Semplice: «Sono andato varie volte, mi trovavo bene, faceva sconti. Ma poi ho saputo che era in buoni rapporti con Casoppero che a me era antipatico e così gli feci bruciare il cassone esterno dell’attività, dove teneva gli pneumatici», ha spiegato De Castro che attualmente risiede in una località protetta e segreta e che in aula, nonostante la “teleudienza”, ha voluto nascondersi dietro il paravento. Il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Cerreti aveva chiesto una pena di poco superiore ai tre anni, il collegio (a latere di Ferrazzi Daniela Frattini e Marco Montanari) ha optato per una condanna inferiore che verrà argomentata nelle motivazioni.
LA DIFESA
L’avvocato Giuseppe Milicia ha evidenziato la contraddizione in cui - a parere suo - sarebbe caduto il pentito chiamando in causa Crisafulli. Nel primo interrogatorio dopo la conversione alla legalità indicò solo in Lento l’esecutore dell’incendio. «Non mi ricordavo bene, ne ho fatti tanti di interrogatori», si è schermito l’ex braccio destro di Vincenzo Rispoli, boss conclamato della ‘ndrina di Lonate-Legnano.
L’avvocato Milicia ha fatto presente che la memoria gli tornò dopo aver saputo delle dichiarazioni del figlio Salvatore - motore della sua redenzione - , «i De Castro fanno fatica a far collimare le loro versioni». Il pubblico ministero Cerreti ha subito replicato: «De Castro si è sottoposto a lunghissimi interrogatori in cui ha parlato di ben altri episodi, tutti riscontrati» e soprattutto di entità maggiore e in questa vicenda «è il figlio Salvatore il teste che conosce i fatti». Dunque nessun dubbio sull’attendibilità dei collaboratori in merito al rogo appiccato nella notte tra il 7 e l’8 gennaio del 2016. Con ogni probabilità Milicia, dopo aver letto le motivazioni, farà ricorso in appello.
in aula parla il pentito
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