L’INCHIESTA
‘Ndrangheta con poliziotto e consulente
L’agente era in servizio a Busto Arsizio, l’addetto alle intercettazioni lavorava per la Procura

Un poliziotto e un consluente giudziario coinvolti nell’inchiesta sull ‘ndrangheta nell’area di Malpensa, di Busto Arsizio e del Legnanese.
I malviventi non sorprendono nessuno: nella vita quello che fanno è delinquere.
Ciò che ha lasciato l’amaro in bocca agli inquirenti, nella maxinchiesta sulla ‘ndrangheta locale, è l’adesione alla cosca di personaggi che avrebbero dovuto lavorare per la legalità.
Primo fra tutti il consulente della Procura della Repubblica di Busto e di Varese, G.V., l’uomo addetto alle intercettazioni che spifferava agli amici criminali le anteprime investigative. E poi il poliziotto in servizio al commissariato di Busto Arsizio, Giancesare Rigolio, sul quale con ogni probabilità si procederà separatamente.
Nell’ordinanza del gip Alessandra Simion (per anni giudice del dibattimento proprio a Busto Arsizio) si percepisce il forte disappunto dei magistrati.
«Figura a dir poco inquietante è quella di V. Numerose sono le intercettazioni dalle quali emerge come abbia fornito a Cataldo Casoppero informazioni sull’imminente arresto del sindaco Danilo Rivolta e di altri».
In una conversazione tra Casoppero e un conoscente, è lo stesso Casoppero a tessere le lodi di V.
«Ti dà tutte le informazioni, hai capito? Poi quando è qua ti presenta poliziotti, cioè, un problema te lo risolve. Adesso mi sta risolvendo il problema del porto d’armi».
Il consulente della Procura, dopo che su La Prealpina era comparsa la notizia di una possibile collaborazione di Rivolta, dopo l’arresto, dice all’amico: «So che sta cantando, la canzone è buona, sta cantando bene perché ha una voce limpida, da andare a Sanremo».
Al tecnico si rivolgevano tutti quelli che avevano bisogno di notizie riservate, quelle a cui si accede solo attraverso i sistemi informatici delle forze dell’ordine. Qualcuno gli aveva pure dato 200 euro per il disturbo. Preziosissimo quindi si rivelava il poliziotto di Busto.
L’aspetto surreale dell’influenza della cosca sul territorio, si staglia attraverso la figura di Mario Filippelli, apicale nel clan cirotano.
Spiegano gli atti: «L’esistenza della ‘ndrangheta è percepita e riconosciuta da tutta la cittadinanza. I comuni cittadini a essa si rivolgono, soprattutto a Filippelli, per recuperare un credito o sanare un torto. A Filippelli i cittadini si rivolgono anche per dissidi privati, non di natura economica».
Quando si dice che la mafia sostituisce lo Stato. E lo aveva compreso anche il pubblico ministero Rosaria Stagnaro (oggi in servizio a Milano), dal cui lavoro è nata l’indagine passata poi per competenza funzionale alla Dda.
Occupandosi di una faccenda di estorsioni, il pm non trovò grande collaborazione nel tessuto lonatese. Del resto l’ex sindaco Danilo Rivolta, gola profonda degli inquirenti, tratteggiò un quadro preciso.
«Diverse famiglie cirotane - spiegò - esercitano un controllo sul territorio, Casoppero, Cilidonio, De Novara, Filippelli, Murano e De Castro. Le loro attività regolari riguardano il settore edilizio. Quando ero assessore all’Urbanistica in giunta c’era la sorella di Franco De Novara (...) Sua figlia Francesca è l’attuale assessore alla Cultura. Un sera Franco si lamentò con me del fatto che destinassi pochi soldi all’assessorato di sua figlia e del fatto che ricadesse sulla stessa un’iniziativa sulla legalità che lei non si sentiva di sostenere».
Oggi, sabato 6 luglio, s’inizieranno gli interrogatori di garanzia ma c’è da scommettere che nessuno degli ‘ndranghetisti disseminati nelle carceri di mezza Lombardia, parlerà davanti al gip.
© Riproduzione Riservata