L’INCHIESTA
Peppino gestiva i voti calabresi
Il ruolo di Falvo, coordinatore dei Cristiano Popolari, e l’assemblea dal Celeste nell’indagine sulla ‘ndrangheta

Il nuovo nome che desta scalpore nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta è quello di Peppino Falvo, coordinatore provinciale dei Cristiano Popolari, indagato sia nell’inchiesta che ha portato in carcere Nino Caianiello, sia in quella che ha piegato un’altra volta le teste dei boss calabresi.
Secondo gli inquirenti Falvo - che spopolò sui social perché portò una barcata di lonatesi al cospetto di Formigoni senza che questi sapessero neppure dove fossero e chi fosse il Celeste - sarebbe il referente di Caianiello nei rapporti con gli esponenti della cosca cirotana.
Lui avrebbe mediato sui nomi che le famiglie criminali volevano inserire nel tessuto politico.
«Hai visto che ieri ho fatto venire ad Antonio? Siamo andati con Antonio lì», dice in un’intercettazione tra lui e Caianiello captata in periodo elettorale.
Si tratta di Antonio De Novara, esponente del clan che con Falvo a quanto pare aveva uno stretto legame.
Del resto lo stesso leader di Forza Italia, prima di incontrarsi con l’amico, parla dalla sua postazione di regia all’Haus Garden di Gallarate e spiega: «Sto aspettando a Peppino che mi deve dire due cose del giro calabrese».
Gli inquirenti ipotizzano che Caianiello e il suo partito avessero a disposizione un lotto di voti ‘ndranghetisti.
Falvo, per questioni di opportunità e immagine, avrebbe pure arginato le ambizioni politiche di Patrizia De Novara.
La sua candidatura nelle amministrative lonatesi sarebbe stata un po’ compromettente, viste le ramificazioni familiari.
Lo si evince da una delle sue affermazioni “spiate” dagli investigatori: «Abbiamo bloccato pure Patrizia, madonna, ha rotto le palle - dice Falvo - fino all’ultimo momento. È giusto che nessuno di loro sia candidato, le ho fatto dire da tutti i fratelli se ti candidi esci dalla famiglia».
E conclude, rassicurando il vertice azzurro: «Comunque ci siamo, Nino, è sotto controllo la situazione».
Talmente sotto controllo che le elezioni non le vinse Ausilia Angelino, Forza Italia, bensì Nadia Rosa, esponente del centrosinistra.
Politica, criminalità, religione.
C’è di tutto nelle due inchieste condotte dalla Dda di Milano su input investigativo di due pubblici ministeri arrivati da Busto Arsizio, Luigi Furno e Rosaria Stagnaro.
Nell’operazione sulle tangenti è venuta a galla la devozione a padre Pio, a cui gli indagati facevano donazioni che in realtà mascheravano altro.
Ora spunta il capo dei Cristiano Popolari ma anche altro.
In una captazione ambientale tra Cataldo Casoppero e G. V. (entrambi colpiti dall’ordinanza eseguita giovedì), si parla di don Antonio Mazzi e non solo.
Dice V.: «Io con don Mazzi ormai c’ho... alla grande».
E Casoppero: «Poi quel cazzo di prete, bastardo, pure, di Lonate, lo hanno mandato via, che è andato in pensione... adesso possiamo giocare come vogliamo, pure con i cattolici». Osserva V., che era consulente della Procura.
«No, ma con don Mazzi a noi, a livello umanitario, tutto... siamo a posto, ci danno una mano».
Ieri mattina, sabato 6 luglio, in tribunale a Busto è comparso Enzo Misiano, consigliere comunale di Ferno sottoposto a misura carceraria per l’attiguità alla cosca calabrese ma pure arrestato in flagranza dai carabinieri e dal pm Francesca Parola per la detenzione di un revolver con matricola abrasa.
Davanti al gip Luisa Bovitutti ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere.
© Riproduzione Riservata